Bocca, il vecchio guru che vive nel Ventennio e inneggia alla rivolta

Per il giornalista novantenne "siamo un Paese fascista mascherato da democrazia, è necessaria la violenza"

Bocca, il vecchio guru  
che vive nel Ventennio  
e inneggia alla rivolta

Della Costituzione «me ne frego», Saviano «mi sta sui coglioni», contro Berlusconi «ci vuole la forza». Parola di Giorgio Bocca, il Maestro. È un po’ quello, il punto. Se almeno si potesse spezzare il binomio «antipatico uguale intelligente», rivedere l’equazione per cui quanto più sei cinico e possibilmente pure maleducato, tanto più sarai la nostra guida. E invece. Bocca è uno che non ha mai smentito, per dire, di aver aderito al Manifesto della razza del 1938, anticamera delle leggi razziali fasciste. È lo stesso che nel 1975 sosteneva che le Br fossero una favola raccontata dai servizi segreti. Votò Lega «per riconoscenza perché ci stava liberando da Craxi e dalla Dc» ma oggi definisce Bossi un mitomane e i leghisti «il peggio del peggio», si schierò a sinistra ma ora la condanna: «Vergognoso che abbia paura della rivoluzione»... Eppure è un trattato come un Guru. Dice di noi del Giornale che facciamo «diffamazione dalla prima all’ultima riga». Per fortuna per raccontar di lui basta ciò che di se stesso e dintorni cultural-politici ha confessato in un’intervista pasquale a Lettera43, una lenzuolata come si confà ai Grandi Vecchi, 90 anni e mai che vadano in pensione.
Me ne frego, ripete, l’espressione gli piace, sarà retaggio del fascio. Se ne frega «di quello che fa la sinistra» e se ne frega pure della Costituzione. Anzi: alla sacra carta preferisce le sacre scritture, «nel Vangelo c’è qualcosa di divino che nelle Costituzioni liberali non c’è», e vagli a spiegare che infatti alla Costituzione non si chiede di avere alcunché di divino. E però non è che abbia un miglior giudizio per il Padre rispetto ai Padri Costituenti, insomma, «possibile che questo Dio così onnipotente non abbia mai trovato il tempo di manifestarsi?». Praticamente un filosofo, a metà fra i dubbi di Sant’Agostino e le certezze di Nietzsche. Ma i Maestri, si sa, non si contestano. Ci prova l’intervistatrice, quando lo incalza sulla guerra in Libia. Quel «povero e spelacchiato» tiranno africano facevamo meglio a lasciarlo al suo posto, noi europei con la fissa della democrazia, e invece siamo andati là a prenderci il suo petrolio. Gheddafi stava massacrando la sua popolazione, fa notare la giornalista, ma lui niente: embè? «Questo fatto che i popoli abbiano il diritto di ribellarsi è un’invenzione attuale, non è mica detto». E allora la Resistenza? Eh, mica è la stessa cosa: «Noi combattevamo per la nostra libertà», i ribelli di Bengasi invece «mi sembrano dei brutti ceffi». Analisi geopolitica illuminante. Che poi anche la guerra partigiana è stata inutile, visto che adesso «siamo un Paese fascista mascherato da democrazia». Chiaro che ha ragione l’altro vecchio d’intelletto Asor Rosa, che invoca lo stato di Polizia per mandare a casa Berlusconi. Dice Bocca: «La violenza nella vita sociale è necessaria (...

) Ci sono periodi di marciume sociale, nella storia delle democrazie, che vanno interrotti col fuoco e con le fiamme». La sovranità popolare? Balle: «Quello che conta sono le minoranze intellettuali, ad esse è affidata la buona democrazia». Uno stato di polizia intellettuale, ecco. Sì. Oppure si può andare a giocare a bocce.

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