Bondi: "Caro Tremonti, hai il dovere di ascoltarmi"

Il ministro dei Beni culturali: "Un Paese che non scommette sull’istruzione non ha futuro. E la cultura non sia succube della politica. Ho proposte innovative in grado di prevedere nuove modalità per finanziare il settore"

Gentile Direttore,

Giovanni Giolitti sosteneva che «bastano due generazioni ben curate e ben educate a far rifiorire i destini di una nazione». Addirittura,come scrive Giordano Bruno Guerri nell’articolo Quale cultura. Ci vorrebbe un Marinetti del 28 luglio, se sapremo investire di più nella scuola e nella ricerca, magari con un’amministrazione più oculata, «i risultati verranno già nel giro di una generazione». Ne sono convinto anche io. Ed è per questo che, per quanto concerne il mio Ministero, ho in animo di progettare molte iniziative che possano contribuire non solo a custodire e valorizzare il nostro patrimonio storicoartistico, maanche a sostenere i nostri talenti nel campo delle arti visive, dell’architettura, del cinema.

Credo, infatti, che il compito, pur fondamentale, di custodire quanto ci è stato tramandato, non debba limitare la nostra possibilità di contemporanei di lasciare segni della nostra civiltà. In questo senso, una seria politica culturale deve incoraggiare, sostenere, aiutare anche le opere degli artisti di oggi per lasciare al futuro «un di più» artistico e culturale rispetto a quello che abbiamo ricevuto dal nostro passato. Per questo sto lavorando ad un grande progetto per la valorizzazione dei nostri musei e delle nostre famose aree archeologiche e ho già proposto una legge sull’architettura di qualità per favorire e promuovere attraverso progetti-concorso le opere dei giovani architetti. In questo senso, voglio confortare Giordano Bruno Guerri su alcuni punti della sua analisi che condivido in pieno.

È ovvio che l’idea centrale che innerva il mio programma, cioè quella che molti definiscono «il culto della Bellezza», non significa nostalgico desiderio di cose passate, ma più semplicemente la consapevolezza che solo difendendo la nostra tradizione e il patrimonio che ne è derivato, potremo trovare energie nuove per il presente e il futuro: in nessun altro Paese comel’Italia, infatti, può essere tanto utile usare attivamente la grandiosità del nostro passato per costruire un futuro altrettanto importante. Come più volte ho ripetuto, la bellezza è un valore politico, nel senso che permette di tramandare stili e modi di vita positivi, induce all’imitazione positiva, in ultimo è un formidabile generatore di senso comunitario.

Dove non c’è bellezza, né il piacere di riconoscersi come a casa propria, lì non c’è creatività, non c’è voglia di fare, non c’è l’humus indispensabile perché possano svilupparsi processi di crescita civile e produttiva. Come potrebbero le persone acquisire uno spirito nobile se intorno a loro non ci sono opere d’arte che rappresentano la nobiltà d’animo? Per questo dobbiamo investire nella bellezza, riportare l’arte nel cuore delle città, far lavorare i nostri artisti. Le città sono organismi che hanno bisogno di nuove opere artistiche e architettoniche, che ne arricchiscano l’identità estetica e civile.

Perciò sono convinto che non debba essere compresso il finanziamento alla cultura, all’istruzione e alla ricerca, anche se comprendo le esigenze di bilancio complessivo dello Stato in un momento di grave difficoltà economica. Un Paese come l’Italia che non scommette sulla cultura e l’istruzione è un Paese che non ha un futuro. Tuttavia, sono convinto che da un male possa derivare un bene, se cogliamo l’occasione delle attuali difficoltà di bilancio sottraendo la cultura dalle mani esclusive dello Stato e riportandola a quelle della società civile e dei privati. Beninteso, lo Stato non potrà evitare di sostenere le attività culturali, come avviene in tutto il mondo, ma dovrà farlo senza pretendere di dettare linee culturali e soprattutto incoraggiando l’intervento dei privati e delle autonomie locali nel campo della gestione dei beni culturali e della diffusione della cultura.Ènecessario, in sostanza, invertire la rotta, passando da una cultura finanziata, e per questo succube della politica, a una cultura libera e in grado di inserirsi nel mercato. Pochi giorni fa il tax credit per il cinema è diventato realtà con una copertura finanziaria per l’anno 2008 di circa 80 milioni di euro.

Ai più potrebbe sembrare una piccola cosa, eppure questo sistema, che ho fortemente difeso, rivoluziona il finanziamento all’industria cinematografica: si passa dal finanziamento diretto, a quello indiretto. Questo significa che molti privati, al fine di ottenere benefici fiscali attraverso il credito d’imposta, saranno indotti ad investire nel cinema italiano sostenendo un comparto che nel passato ha vissuto al lumicino spesso e solo grazie al sostegno pubblico. Questo è il modelloda seguire anche per gli altri comparti della cultura: da quello della valorizzazione e gestione dei beni culturali a quello del sostegno delle nostre biblioteche e degli archivi, dalla promozione della lettura al sostegno delle arti figurative.

Per tutte queste ragioni, non mi posso considerare un ministro che bussa alla porta del ministro Giulio Tremonti per chiedere favori o per implorare un trattamento di clemenza nei tagli da effettuare. Ho sostenuto in campagna elettorale, in qualità di coordinatore di Forza Italia, il programma di politica economica che ora giustamente, efficacemente e coraggiosamente il ministro del Tesoro sta applicando. Non sarò certo io, perciò, a mettere in discussione le scelte fondamentali del governo, rese necessarie anche dall’attuale congiuntura economica. Anzi, queste scelte le sostengo e le difendo come se fossero mie, assumendomi la responsabilità di spiegarle anche a chi mi accusa di non difendere con la necessaria forza e determinazione le prerogative del mio ministero. Per questo ho il dovere di avanzare proposte innovative in grado di prevedere nuove modalità di finanziamento alla cultura, come ad esempio quella che sto studiando per l’istituzione di una agenzia nazionale per il cinema o misure incentrate sulla defiscalizzazione dei contributi versati dai privati per la valorizzazione dei beni culturali, come avviene già in tutto il mondo.

E per questo il Ministro Tremonti ha il dovere di ascoltarmi e di valutare con attenzione le mie proposte, come del resto sta facendo. Più in generale, apprezzo, come ricorda Bruno Guerri, il lavoro di tutela e di conservazione che fin dall’epoca di Giuseppe Bottai è stato portato avanti dallo Stato e poi dalle nostre soprintendenze con coerenza e lungimiranza, garantendo all’Italia, diversamente da altri Paesi, il mantenimento talvolta integrale del patrimonio artistico e culturale e dunque il primato mondiale in questo settore. Oggi però è giunto il tempo che questo nostro immenso patrimonio possa essere strumento di rilancio. Per questo, anche il lavoro dei tecnici del ministero, la cui eccellenza è riconosciuta a livello internazionale, deve essere considerato non un freno all’innovazione, bensì un valido supporto alla crescita delle singole realtà sul territorio.

In un’ottica necessariamente sempre più federalista, lo Stato deve essere considerato un amico e non un contraltare rispetto a tutte quelle istituzioni locali vicine al cittadino che hanno interesse a utilizzare e a valorizzare, mantenendone l’integrità, il patrimonio artistico di competenza. Mi permetta infine una digressione politica. Ha ragione Bruno Guerri quando ironizza sulle piccole strategie della sinistra che oggi è disposta ad inneggiare a Bottai, dimenticando Gramsci, piuttosto che riconoscere la giusta politica del governo Berlusconi.

Voglio però assicurare tutti quanti che non c’è sudditanza nei confronti di un pensiero un tempo egemonico per intelligenza e ora residualmente potente grazie a un formidabile apparato burocratico, comunque in via di disfacimento.
*Ministro dei Beni culturali

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