IL BOROTALCO DEI "RICREDISTI"

Avanti c'è posto. Gli ultimi della lista sono tre giornalisti di punta della ex sinistra incattivita. Miriam Mafai, storica firma di Repubblica dice di condividere le mosse del governo: «Berlusconi non mi dispiace». Maria Laura Rodotà, voce ufficiale dei salotti radical chic, ammira il piano rifiuti. E l'ex iena del Manifesto, Riccardo Barenghi si trasforma in agnellino: dimenticata la tradizionale ferocia, si schiera amorevolmente con Tremonti e giudica «positivo» l'inizio di legislatura. Se domani arriva anche il sermone domenicale di Scalfari intitolato: «L'uomo che non credeva in Silvio (racconto di una conversione)», abbiamo fatto l'en plein. Champagne e Spinoza per tutti.
Al Giornale li abbiamo ribattezzati i «ricredisti», quelli che si ricredono. Ogni giorno aggiorniamo il conto. Ormai sono così numerosi che al confronto la metropolitana all'ora di punta sembra il deserto del Sahara. E vederli impegnati in piroette imbarazzanti, per certi versi, è persino divertente: Adriano Celentano si scopre all'improvviso berlusconiano di ferro, la regista Liliana Cavani, da sempre ostentatamente progressista, lo imita, Mario Capanna e Franco Berardi, il Bifo di Potere Operaio, si travestono da fan del centrodestra romano, mentre tutti coloro che fino a ieri riempivano colonne di giornale con le ironie su tacchi, ricrescita e cerone, ora incensano, con articoli ammirati, le somme virtù dello statista di Arcore. Se arriva pure Bocca, a chiedere scusa, il quadro è completo: qualcuno, per favore, avverta il partigiano Giorgio che la Resistenza è finita. «Bella ciao», oggi, non è nemmeno più ammesso come saluto alla Carfagna.
Poveri antiberluscones: ormai sono costretti a ritirarsi attorno alla ridotta di Anno Zero. Santoro, Travaglio, Di Pietro, un po' di guerra di retroguardia sull'emendamento tv o qualche nostalgia contro il nucleare: tutta roba da piccolo mondo antico, che puzza di stantio come l'ascella di Tutankamon. E stona persino un po' in questo clima da violetta e lillà, profumo di gelsomino con abbondanti spruzzate di borotalco e ammirazione di sinistra: avete visto quant'è bravo Berlusconi? In due giorni ha fatto quello che noi non siamo riusciti a fare in ventidue mesi. Anzi, ha fatto pure qualcosa di più. Chapeau.
Non saremo di certo noi a lamentarci della nuova e abbondante compagnia. Figurarsi. Non siamo mica gelosi. Abbiamo sostenuto la campagna elettorale di Berlusconi consapevoli che fosse l'unica possibilità per questo Paese e siamo felici che, dalle prime mosse, la nostra consapevolezza trovi riscontri, persino in lidi inaspettati. Se ne sono accorti anche quelli che fino a ieri gli sparavano addosso? Bene. Ottimo. Meglio tardi che mai. Siamo così contenti che rinunceremo persino a dire «avevamo ragione», rinunceremo a fare i so-tuto-mi, rinunceremo a dare ai «ricredisti» brevi lezioni sull'andamento del mondo (come avrebbero fatto sicuramente loro in situazione analoga).
Ma c'è una cosa a cui non rinunceremo: non rinunceremo a ripetere che il plauso della sinistra riconvertita, per quanto meraviglioso, non è il fine del governo. Il fine del governo è salvare e trasformare questo Paese. E se per farlo è necessario prendere provvedimenti che non piacciono a Maria Laura Rodotà, pazienza: non si può e non si deve rimanere incastrati nell'abbraccio dolciastro degli ex nemici, premiata profumeria Veltroni. Non si può e non si deve cedere al ricatto del borotalco.

Per dire: prima delle elezioni Berlusconi annunciò che, oltre a quelle molto popolari di queste ore, sarebbe stato necessario prendere pure qualche decisione impopolare. Se è utile, lo faccia. E pazienza se, questa volta, a Miriam Mafai non piacerà.

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