In Borsa il titolo Juve è in zona retrocessione

I risparmiatori pronti a dar battaglia in tribunale. La società rischia di perdere il 70% del fatturato

Rodolfo Parietti

da Milano

A Piazza Affari sventola la bandiera nera del ribasso sul titolo Juventus. Verdetto duro quanto inevitabile, quello di ieri della Borsa, visto il continuo dilatarsi dello scandalo che ha travolto l’ex direttore generale Luciano Moggi e aperto scenari cupi sul futuro della società di calcio torinese. La possibile retrocessione in serie B (se non addirittura in C) della squadra, con le pesantissime ripercussioni a livello economico che ne deriverebbero, ha provocato un vero e proprio fuggi-fuggi degli investitori. A fine giornata, il titolo ha lasciato sul terreno il 14,26%, a quota 1,73 euro, dopo ripetute sospensioni per eccesso di ribasso, mentre l’azionista Ifil è arretrato del 3,34% e Fiat del 3,45% in un clima reso ancor più nervoso dal passo falso della Roma (meno 4,8%) e, soprattutto, della Lazio (meno 17%).
Insomma, un incendio borsistico in piena regola che ha costretto Borsa Italiana a indossare i panni del pompiere per limitare il più possibile i danni, con l’introduzione di un paletto per impedire al titolo bianconero di scendere più del 15% rispetto al 20% che rappresenta di regola la soglia massima di oscillazione. Senza questa sorta di paracadute, il ribasso sarebbe stato di ben altra entità: nel corso della giornata, la Juve è infatti arrivata a perdere, in linea teorica, fino al 28%. Da oggi, e «fino a nuovo provvedimento», Borsa Italiana ha disposto il divieto di negoziare il titolo senza limite di prezzo, proprio allo scopo di impedire ogni fenomeno di panic selling, di corsa alla vendita a «qualsiasi costo».
La sensazione, del resto, è che la discesa agli inferi del titolo non sia ancora terminata. Da martedì 9 maggio, giorno dello strappo al rialzo (più 8%) sulle voci del lancio di un’Offerta pubblica di acquisto (Opa) per poter procedere al delisting, ovvero alla cancellazione dal listino, le azioni del club di casa Agnelli sono «dimagrite» di circa il 35%. Un disastro autentico. E in appena quattro sedute. Marco Onado, docente della Bocconi, va dritto al cuore del problema in un commento al Sole24Ore-Radiocor, ricordando che «l’esistenza di società calcistiche quotate fa una vittima in più: il risparmiatore». Sono gli stessi risparmiatori, molti dei quali tifosi della Vecchia Signora, che si sentono traditi e ora intendono creare un comitato per costituirsi parte civile in tutti i processi. Per salvare un patrimonio da 200 milioni di euro che rischia di evaporare, dicono, se continuerà il calvario borsistico della Juve.
Onado, che sottolinea la «palese incompatibilità tra società di calcio e la Borsa» essendo la redditività «un optional» legato più alle indiscrezioni che alla gestione corrente, intravede nel delisting una possibile via d’uscita. Il provvedimento, finora, non è però mai stato preso d’autorità dagli organi di controllo del mercato. La richiesta dovrebbe dunque partire dalla società. Improbabile invece una sospensione della Juve dal listino: Borsa Italiana e la Consob non hanno riscontrato anomalie nell’andamento del titolo. Inoltre, pur con le dovute precauzioni, si vuole consentire agli azionisti di poter vendere le azioni in portafoglio.
È evidente che i continui sviluppi giudiziari costituiscono una variabile in grado di modificare ogni scenario, ma sull’eventuale retrocessione della squadra in serie B circolano già ipotesi sulle possibili ripercussioni economiche. Secondo Victor Uckmar, professore di scienza delle finanze e presidente della Covisoc (la commissione di vigilanza sulle società di calcio) fino al 2001, il declassamento si tradurrebbe in «un disastro economico» per la Juventus a causa del contrarsi «degli introiti dal gioco del calcio, così come quelli delle televisioni». In più andrebbero messe in conto «le azioni di risarcimento danni delle tv e di tutti i contrattisti, il cui ammontare potrebbe assorbire il patrimonio. Quindi, potrebbe essere addirittura il fallimento».
Non meno fosco è il quadro dipinto da Michele Uva, ex dirigente di Parma e Lazio e ora consulente della tedesca Sportmarkt: «Normalmente le perdite di fatturato, per una società che retrocede in B, sono state negli ultimi cinque anni del 42% circa.

Nel caso di grandi club questa perdita può arrivare al 70%». La soluzione? Vendere i giocatori (la Juve, tra l’altro, paga stipendi per 120 milioni), in assenza di un intervento della società tale da compensare il crollo delle entrate.

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