Bossi: «Se le cose vanno male si torna al voto»

Il ragionamento è molto pragmatico e in effetti fila: se si apre lo scenario di un triennio con una maggioranza litigiosa, la strada per le riforme (leggasi: federalismo) si fa complicata, e allora a quel punto meglio votare. Umberto Bossi lo svolge alla sua maniera, senza girarci intorno: «Non ho certezze ma temo che la cosa non si rimetterà a posto... Se le cose non si rimettono a posto ci sono le elezioni». Prospettiva che, stando agli umori interni al Carroccio, non viene certo auspicata ma neppure temuta, perché la Lega è consapevole che il trambusto nel Pdl potrebbe rivelarsi, alla prova delle urne, un asso in più per drenare voti da quell’area, soprattutto tra i delusi dell’ex An. In sintesi la Lega nord, almeno per ora, non entra nella mischia e si mette in panchina ad osservare, anche se non sfugge agli uomini di Bossi che sia stata proprio la Lega ad accelerare lo scontro tra i cofondatori del Pdl. In particolare, è la centralità acquisita dal Carroccio nell’agenda riformatrice del governo ad aver spiazzato Fini. Anzi - raccontano i leghisti - sarebbero stati decisivi proprio gli ultimi giorni, con una concatenazione di eventi «catastrofica» per i progetti finiani sui futuri assetti di Palazzo Chigi e Quirinale (lui al primo, Berlusconi al secondo). Prima la frase di Calderoli, ribadita da Bossi, sull’ipotesi di un premier leghista nel 2013 (in seguito «ritrattata» dal Senatùr, ma per pura tattica...). Poi il blitz, sempre del ministro bergamasco, al Quirinale con una bozza di riforma costituzionale, materia su cui Fini e i finiani volevano ritagliarsi un ruolo guida nel centrodestra. Quindi, ultimo tassello esplosivo, l’incontro Berlusconi-Bossi (il giorno precedente al «pranzo della verità» tra il premier Fini), da cui il leader del Pdl (dicono sempre i parlamentari della Lega) avrebbe ricavato la definitiva certezza della Lega come alleato ultrafedele e pronto a fare un passo indietro quando serve (come nel caso del ministero dell’Agricoltura, «ceduto» dalla Lega al Pdl), saldando così l’asse nordista del centrodestra e mettendo nell’angolo, di fatto, il «finismo». La Lega vero motore del divorzio Fini-Bossi? I deputati del Carroccio raccontano di continue provocazioni e sgambetti alla Camera da parte del gruppetto finiano, soprattutto di un’insofferenza radicale verso la Lega, portatrice di battaglie opposte al progressismo fighetto dei finiani, praticamente su tutto: immigrati, cittadinanza, questione Nord-Sud, aborto e Ru486, laicità e radici cristiane. «La verità è che siamo diventati noi il motore riformatore della maggioranza e questo non è andato giù a Fini - dice Raffaele Volpi, deputato lombardo della Lega -. Ma la domanda devono farsela loro: che proposte concrete hanno fatto sulla giustizia, sul federalismo, sulle riforme? Hanno detto sempre e soltanto dei no. Noi lavoriamo con un obiettivo chiaro e soprattutto siamo alleati affidabili. Loro invece promuovono convegni con il Pd». L’ultimo è in programma a breve, con la presenza di Fini, il fido Granata e il deputato piddino Sarubbi, sorta di finiano di centrosinistra.
Nel frattempo la Lega tira dritto, annusando l’aria che tira in casa del vicino, pronta a guadagnare eventuali spazi di manovra liberati dall’assestamento del piccolo sisma nel Pdl.

Bossi, piuttosto, si dedica al risiko bancario, sul quale ieri Giancarlo Giorgetti ha corretto il tiro, chiarendo (sul Sole24Ore) che la Lega non vuole occupare le fondazioni, ma «pesare sulle decisioni». Insomma mentre gli altri litigano, il Carroccio macina la sua strada.

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