Bossi torna moderato: «No alle elezioni»

Esercizi di «bossismo» allo stato puro. Prima la minaccia del voto anticipato, poi il cambio di rotta perché la Lega «non vuole le elezioni». Prima mediatore tra i litiganti, poi non più mediatore, perché «Berlusconi è più bravo a mediare». Unica costante nella carambola di posizioni e tattiche leghiste nella vicenda Fini-Pdl, il federalismo, stella polare dell’armata verde, dal Senatùr in giù e condizione sine qua non per garantire il buon vicinato nei prossimi mesi.
L’ondeggiamento dipende da una variabile oggettiva: l’incognita Fini e la minaccia di un possibile ostruzionismo della sua corrente ai decreti che dovranno attuare la riforma-bandiera della Lega nord. Su questo punto Bossi - raccontano i suoi parlamentari - avrebbe ricevuto sufficienti garanzie da Fini, nel colloquio che il presidente della Camera ha avuto nei giorni scorsi con i luogotenenti bossiani, Calderoli e Cota. Di qui, la scalata di marcia del leader leghista, che adesso lancia alla sua base un messaggio più attendista. La Lega punta alle elezioni? «No. Vuole solo fare il federalismo», spiega Bossi a Radio radicale. «Il federalismo è necessario, altrimenti l’Italia corre i rischi della Grecia». Ma Fini è d’accordo? «Penso di sì, sotto sotto - risponde Bossi -. Adesso è tutto preso a cercare di tamponare le beghe col premier, ma lo sa anche lui che occorre il federalismo».
Se prima era la Lega a tuonare sul voto anticipato, ora Bossi segue una linea più morbida perché, in realtà, punta a ottenere il risultato (la riforma) in modo meno conflittuale, contando sui tempi che ha davanti. La dead line in questo senso è maggio 2011, quando si concluderà il percorso dei decreti attuativi del federalismo fiscale. Se la Lega fosse costretta a rompere prima (eventualità che la Lega non si augura, ma che ventila come uno spauracchio anche adesso, spiegando che si vota «solo se lo vuole la Lega», e che quindi il pallino è in mano sua... ) sarebbe una sorta di autogol. Perciò al momento - ma i venti possono girare in fretta - la strada della Lega sembrerebbe puntare sulla stabilità del governo, come garanzia per portare a casa il federalismo. La chiave è tutta lì. Perché se è vero che rispetto a qualche giorno fa, quando Bossi dava a Fini del sabotatore nemico del Nord, l’aria sembra molto cambiata (lo conferma Roberto Cota: «Con Fini abbiamo avuto uno scambio di idee e gli abbiamo spiegato tutti i vantaggi che ha il federalismo»), la Lega resta sempre con le orecchie alzate per captare ogni spiffero. «Assisto con sgomento a comportamenti di persone, anche autorevoli - avvertiva ieri Luca Zaia - che stanno tirando il freno a mano sul federalismo fiscale. Ricordo a tutti che un’alternativa non esiste». O federalismo o niente, il messaggio è chiaro. Ma anche senza elezioni, anzi meglio senza, e magari con Fini, e questa sembra la novità.
Intanto sulla road map del federalismo vigila Roberto Calderoli. Ieri si è registrato un passaggio interessante su un «derivato» del federalismo fiscale, il «federalismo demaniale», attraverso il quale il patrimonio immobiliare dello Stato verrebbe trasferito agli enti territoriali. «Un patrimonio demaniale di massimo 5 miliardi di euro non è la base per avviare un progetto federalista», ha obiettato il direttore dell’Agenzia del Demanio, Maurizio Prato.

«Per me - ha risposto Calderoli - quando si parla di miliardi sono già cifre interessanti. Poi dobbiamo ampliare il discorso, perché i beni dello Stato» nel loro complesso «sono una cosa ben diversa». Insomma la road map della Lega sarà chiara, ma la strada è ancora piena di dossi.

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