Le bugie necessarie di D’Alema fanno gioco a Iran e Venezuela

Massimo Introvigne

C’eravamo tanto amati. Dopo i Bye bye, Condi al telefono e le voci sapientemente diffuse dall'ufficio stampa di D’Alema su una Condoleezza Rice non insensibile al fascino discreto di Baffino, i giornali americani descrivono un segretario di Stato furibondo con il governo italiano e il suo ministro degli Esteri. Non bastassero gli ordini alle truppe in Libano perché fingano di guardare dall’altra parte mentre convogli di camion portano dalla Siria tonnellate di armi iraniane agli Hezbollah, ora c’è anche il rifiuto di sostenere la candidatura del Guatemala per un seggio al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che di fatto - anche se l’Italia si astiene - favorisce l’altro candidato, il Venezuela del presidente Hugo Chavez.
Le diverse biografie pubblicate di recente dipingono Chavez - il primo capo di Stato straniero ricevuto in pompa magna alla nuova Camera dei Deputati da Bertinotti - come un autentico bandido, non nel senso metaforico per cui si dà del bandito a chi, per esempio, opprime i contribuenti con tasse persecutorie, perché in quel caso per gli italiani non occorrerebbe andare a cercarne esempi in Venezuela. No: Hugo Chavez ha esercitato tecnicamente la professione di bandido occupato a taglieggiare commercianti e industriali prima da civile e poi da militare con metodi che - se riferiti a Putin - farebbero dire al presidente russo che la vera mafia sta in Venezuela.
Negli ultimi anni il banditismo di Chavez è passato dai semplici traffici ai brogli elettorali, quindi alle tresche con l’Iran coperte da una retorica che chiama Bush «il Diavolo» e applaude le dichiarazioni di Ahmadinejad sullo sterminio di Israele. Non si tratta solo di parole: negli ultimi due anni sono stati firmati una ventina di trattati di cooperazione fra l’Iran e il regime venezuelano. Il sostegno del caudillo di un Paese occidentale e cattolico a tre ore di volo da Miami non è solo un bel colpo propagandistico per gli ayatollah iraniani. Teheran ha anche bisogno di basi per una rete di agenti segreti che ha da tempo sostituito quella sovietica come la più capillare presenza d’intelligence ostile agli Usa nel continente americano.
Secondo Washington, la centrale dello spionaggio iraniano è una fabbrica di trattori venezuelana chiamata Veniran, una joint venture fra Chavez e gli iraniani. La Veniran, di cui l’agricoltura venezuelana non ha bisogno, è in realtà una copertura per far viaggiare fra Caracas e Teheran decine di agenti dei servizi iraniani, e per trasferire in America Latina - in container che li presentano come pezzi per trattori - armi e munizioni per vari gruppi insurrezionalisti sudamericani.
La tesi secondo cui l’Italia non può votare contro il Venezuela all’Onu perché in quel Paese c’è una forte comunità di origine italiana è una bugia che la diplomazia americana ha smascherato in pochi minuti. Gli italiani in Venezuela sono imprenditori e commercianti, e non fanno certo parte di quei gruppi di contadini e operai che fanno da materia prima alle adunate di piazza di Chavez. Le associazioni italiane sono semmai in prima linea nelle manifestazioni che domandano a Chavez di togliere il disturbo.

L’atteggiamento del governo Prodi e di D’Alema non è dunque destinato a favorire gli italiani in Venezuela, ma la tenuta dell'esecutivo in balia di Bertinotti e Diliberto, ai congressi dei cui partiti si inneggia regolarmente a Chavez. Bye bye dunque all’amicizia con gli Stati Uniti: anche lì, come da noi, hanno capito che per il governo italiano la bugia è una risorsa strategica.

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