Burocrazia al potere: è il Tar il vero leader della corsa elettorale

Nella repubblica degli azzeccagarbugli, dove il numero di legulei triplica la media europea e ogni corso ha un suo ricorso, ogni appello un controappello, c’è già un vero partito di maggioranza relativa: il Tar. Sbroglia cavilli, squaderna liste elettorali, decide i palinsesti tv, riabilita o espelle, dentro o fuori, fuori o dentro, par condicio sì par condicio no. La campagna elettorale ha un vincitore e indossa la toga, è nell’ufficio grigio del tribunale amministrativo, con la foto del presidente della Repubblica sopra la scrivania, i faldoni ingialliti e la spugnetta per bagnare l’indice. Eccolo lì, il grande partito del Tar, la democrazia cavillosa dei tribunali amministrativi ha preso il posto dei partiti, spodestati per manifesta imbranatezza. Ci si attrezza con le consulenze degli avvocati che sommano pareri, scartabellano articoli di legge e commi vari per trovare il busillis che soddisfi la mente del magistrato amministrativo, un tipo umano da romanzo di Gogol. Ci si ingegni pure, ma poi tutto finisce nelle mani loro, lì al Tar, dove si rifà l’Italia o si muore. Il paradosso perfetto per il Paese dei finti invalidi e dei veri furbi, essere governati dall’eccesso di zelo giuridico. Sarebbe anche una geometria ideale, preferibile al caos italico, se non fosse italica anche quella. E così ogni sentenza è ricorribile, la certezza del giudizio corre sulle vie tortuose dei vari gradi, la Corte d’appello viene annullata dal Tar che viene annullato dal Consiglio di Stato e si torna indietro, come nel gioco dell’oca. C’è il partito più votato in Italia che nella capitale non c’è, mancano le firme, il Tar non ammette, tutti a casa e si vedrà. C’è una legge che impedisce i talk show durante la campagna elettorale ma si fanno i conti senza l’oste, il Tar, che prende in mano la questione e ribalta tutto, come al solito, da vero jolly della campagna elettorale qual è: tornano i talk show, si scaldino i muscoli Vespa, Floris, Santoro, si riaccendano le telecamere di Matrix, Lerner, Piroso, la corte ha deliberato. Scusate, avevano scherzato quelli della Commissione di vigilanza Rai e l’Agcom, come se spettasse a loro decidere. No, decide il Tar, il vero leader, l’oste del banchetto elettorale, il partito di maggioranza amministrativa. Almeno quelli decidono, sono il vero partito del fare. E del disfare.
Le sorti del Paese, in mancanza di certezze più solide, vanno cercate nelle carte accatastate di qualche Tar. La campagna elettorale dimentica la politica, succube dei cavilli, e si arrotola nei tecnicismi tribunalizi, che alla fine governano tutto il gioco. Se si presentasse con una sua lista, il Tar delle libertà, vincerebbe pure. Nel frattempo fa il bello e cattivo tempo, un tripudio da azzeccagarbugli, e i programmi dei partiti impallidiscono di fronte alle sezioni riunite che minacciano di rivoltare il rivoltabile, codice alla mano. Tutto scorre, panta rei, e tutto ricorre. Liste contro liste, listini contro listini, liste vere contro liste finte. Sempre al Tar tocca l’ultima parola. Il candidato del centrodestra in Piemonte, il leghista Roberto Cota, esulta perché il Tar ha accolto il suo ricorso contro la lista civetta di Nadia Cota.

Il centrodestra esulta meno in Lazio, dove il Tar gli rimbalza l’appello per la lista Pdl. Ancora in Lazio non passa Forza nuova, il Tar è anche sessista: troppe donne in lista. Altri ricorsi pendono, di tutti i colori, dai radicali ai comunisti. Tutti, appassionatamente, appesi a un Tar.

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