«C’è chi lavora per far fuori Prodi»

Caprili, dirigente del Prc e vicepresidente del Senato: «Diliberto non ci sopporta»

Roberto Scafuri

da Roma

Nella famiglia d’antica virtù viareggina c’è persino un Prometeo. Lui invece è Milziade, come il nonno. Del generale sbaragliatore di persiani a Maratona evoca un che di durezza marmorea, caratteristica che non gli impedì di nutrire, al liceo classico, fiera avversione per il greco. Il papà partigiano schivo, camionista e letterato, lo introdusse tanto alla soavità della musica classica quanto alle rudezze del comunismo classico. Mai più abbandonate: tanto che Milziade Caprili, classe ’48, oggi può dire di essere sempre stato fermo, o giù di lì, mentre il mondo gli girava attorno. Persino la sua foto sulla Navicella, al primo ingresso alla Camera con il Pci nell’83, è la medesima che si ritroverà nel 1987 e nel 1992, prima volta da deputato con Rifondazione comunista. E il vezzo di dichiararsi «destro», in qualità di amendoliano del Pci, l’ha conservato anche da uomo-chiave dell’organizzazione di Prc e, ora, da vicepresidente del Senato. Con una variante significativa: «Mi definisca pure bertinottiano, anche se so che Fausto Bertinotti non ama queste classificazioni...».
Presidente Caprili, mentre il Prc fa le bizze, i centristi bussano alle porte.
«Che esistesse un legittimo disegno centrista lo si sapeva, lo si è messo nel conto quando abbiamo deciso di accettare la sfida del governo. Il tentativo è nelle cose...».
Avverte aria di campagna acquisti, in Senato?
«Sono impreparato, sul tema. Non ne ho alcun sentore, però so che il trasformismo in Italia c’è sempre stato».
Parisi intende rafforzare la presenza in Afghanistan, e la minoranza di Prc minaccia di tornare all’opposizione.
«Chi lavora al progetto neocentrista lavora oggettivamente contro Prodi. Le dichiarazioni di Parisi sono pesanti, ma è una sgrammaticatura non credo legata al progetto centrista...».
Oggettivamente anche i suoi compagni sono un po’ pesanti, quando parlano già di non votare la fiducia al governo. Eccessi di precipitazione che fanno il gioco centrista?
«Forse si rischia di favorire oggettivamente quel progetto. Ma chi perseguisse questa strada, a sinistra, sarebbe afflitto da cecità totale. A un mese e mezzo dall’insediamento del governo, prima ancora che si entri nel vivo... A me sembra fantapolitica».
A sinistra c’è chi fa da sponda a quel progetto?
«Che ci siano all’interno dell’Unione forze che mal sopportano la presenza di Rifondazione è fuori discussione...».
Il Pdci di Diliberto?
«Magari anche. Però sia chiaro che si tratta di un gioco contro il presidente del Consiglio: perché la prima vittima di un cambio di maggioranza sarebbe Romano Prodi».
In una recente intervista Diliberto è assai duro con il Prc.
«La competizione a sinistra esiste. Ma c’è un fondo costante di acredine che non capisco e non accetto, specie da chi ha partecipato alla guerra nel Kosovo e vuole assegnare pagelle di affidabilità. È la replica stantia di una storia che in questi anni si è chiarita: nel ’98 Prc fu affidabile per gli interessi che rappresentava...».
Magari il Pdci teme di non avere acqua in cui nuotare. Come si dice? Primum vivere.
«Dopo il ’98 in molti tentarono di strangolarci... Ma noi del Prc come ci difendemmo? Non arroccandoci, né con astiose polemiche. Ci mettemmo in mare aperto e, grazie alla carica inventiva di Bertinotti, trovammo la rotta. Certo, la forte personalità di Fausto l’ha reso possibile e capisco che non tutti siano Bertinotti... Però non si vive attaccando gli altri, piuttosto facendo navigare la propria barca».
A proposito di navigazione: che si fa con la ciurma di Prc, così loquace e rissosa?
«Posso non condividere alcune esternazioni, ma le trovo legittime. Sono preoccupato piuttosto per l’emergere di differenze, nell’ultimo Comitato politico, che credevo superate. Vorrei che si tornasse allo spirito di accordo più largo dell’investitura a segretario di Giordano».
Bertinotti via, il partito annaspa?
«Difficoltà di assestamento, Giordano è stato esplicito. Però nel partito ci sono le risorse per superarle, il partito non è smontabile...».
Il «Corsera» ha scritto di un Bertinotti in vasca idromassaggio a Ischia, mentre il partito assisteva impotente alla nascita del «Pcl» di Ferrando.
«Questo schema non solo è inaccettabile, ma persino logoro: non fa nemmeno più ridere. Si vuole attaccare Bertinotti proprio per il contributo che ha dato alla rifondazione di un punto di vista comunista».
Esiste una vostra linea del Piave per stare nel governo?
«Noi siamo gli alleati più affidabili di Prodi e i più intransigenti per l’attuazione del programma: chi non volesse attuarlo ne subirebbe le conseguenze».
Ma Rifondazione non può impegnarsi a tenere buoni i suoi senatori di minoranza?
«Non possiamo né dobbiamo tener buoni i nostri.

È l’attuazione del programma a poterci riuscire: il compito spetta all’intera Unione...».
Ma l’Afghanistan non fa parte del programma.
«Certo, ma il programma ha una chiara ispirazione. E io dico: discutiamone, andiamo al confronto in modo aperto. Senza farci del male a ogni costo».

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