MA C’È CHI PUÒ FARE IL BARBARO

Basta con l’imbarbarimento della politica? Ma sicuro. Noi siamo d’accordo. Figuriamoci. Ora però qualcuno glielo può dire anche a D’Avanzo, per cortesia? Qualcuno può avvertire Ezio Mauro? E magari pure D’Alema, quello che parla di scossa, o Franceschini, quello che va a discutere dell’educazione dei figli altrui? Sono cinquanta giorni che, praticamente da soli, contro tutti, urliamo al mondo che usare la vita privata come strumento di lotta politica è una vergogna. Ci hanno sempre risposto che non capiamo nulla. Che usare la vita privata come strumento di lotta politica è segno di democrazia. Ma sicuro: ne abbiamo sentite di tutti i colori. Abbiamo sentito gli ex cantori dell’amore libero e del sesso in stile ’68 (e anche un po’ ’69 ) che ci hanno fatto austere lezioni di morale. E abbiamo letto le dotte prolusioni di filosofi della teoretica scalfariana costretti ad arrampicarsi sugli specchi per giustificare la nuova versione dell’antiberlusconismo in salsa di Novella 2000. In cinquanta giorni nessuno che si scandalizzasse per l’imbarbarimento della politica. Nemmeno una volta. Mai.
Però è bastato che il Giornale raccontasse due giorni fa delle escort del clan D’Alema, ed ecco che all’improvviso si sono scandalizzati tutti. Ah, l’imbarbarimento della politica. Quando poi ieri abbiamo segnalato (dato di cronaca) che la maîtresse che organizzava gli incontri sexy fra le squillo e gli uomini del clan D’Alema era socia in affari con il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, è scoppiato il finimondo. Ah, due volte ah, l’imbarbarimento della politica! Signora mia, non se ne può più: ma dove arriveremo? Come se fino all’altro ieri sui quotidiani italiani si fosse soltanto parlato dei problemi dell’astrofisica nucleare o del rapporto fra armonia celeste e sistema dodecafonico, anziché di veline, Noemi, foto rubate e lettoni più o meno grandi, gossip e prostitute.
Basta con l’imbarbarimento della politica? Per carità, non ne vediamo l’ora. Ma dov’erano Cesa e D’Alema e Casini quando l’imbarbarimento della politica andava a sfruculiare in modo osceno dentro la privacy di Berlusconi? Dov’erano quando i giornali mettevano alla gogna i suoi ospiti in Sardegna, colpevoli soltanto di prendere il sole? Dov’erano quando le foto private ai bordi di una piscina privata in una villa privata diventavano, senza nessuna ragione, di pubblico dominio mondiale? Dov’erano quando il primo ministro di un Paese straniero veniva messo alla berlina col suo Topolanek al vento? Dov’erano quando qualcuno faceva avere ai giornalisti amici le registrazioni della D’Addario e le foto nella toilette di Palazzo Grazioli? Non avevano nulla da dire, allora, sull’imbarbarimento della politica?
Restiamo convinti che nell’inchiesta insabbiata nel ’99 sulle escort del clan D’Alema c’era molta più sostanza che in tutto il polverone sollevato adesso contro Berlusconi. Di tutto questo presunto scandalo, da Noemi a Tarantini, scusateci, ma noi continuiamo a non vedere where is the beef, dov’è la ciccia, cioè dov’è il problema. Anche ieri ci siamo deliziati con due pagine di Giuseppe D’Avanzo su Repubblica, senza trovarci null’altro, a parte un mare di noia e una rassegna stampa un po’ malfatta. E dire che il giornalista, in genere, sa fiutare le piste giuste: com’è che da due mesi si accanisce sul caso senza cavarci il vero scoop? Come mai il gruppo editoriale l’Espresso, che ha scatenato fior di inviati senza limite di budget, a caccia di testimonianze, ragazze pentite, rivelazioni choc, deve limitarsi a montare la panna con foto di ragazze in barca e banali cene, roba che non metterebbero in imbarazzo nemmeno i catecumeni di un oratorio brianzolo?
Ribadisco: nell’inchiesta che abbiamo pubblicato in questi due giorni c’è molta più sostanza che in tutto il materiale D’Avanzo. Sono saltati fuori, tanto per dire, incontri fra esponenti politici ed escort all’interno di Montecitorio. E poi ci sono uomini assai vicini a D’Alema che parlano di «problemi risolti» con la Banca di Roma e altre aziende. C’è la maîtresse che chiede favori per Alitalia. Si parla di incontri a luci rosse, nei palazzi delle istituzioni, cui partecipa un «uomo politico molto importante». Ora noi domandiamo: com’è che a Bari sono state convocate ragazze su ragazze per sapere tutto della cena in una casa privata, mentre nessuno ha voluto saperne di più su quell’uomo politico molto importante che incontrava escort a Montecitorio? Dicono: l’inchiesta è stata archiviata dopo il patteggiamento della maîtresse. Ecco, appunto: perché in Italia certe inchieste (quelle contro Berlusconi) non finiscono mai e quelle contro gli altri vengono rapidamente insabbiate? Perché ci sono magistrati che continuano ad accanirsi su quello che il Cavaliere faceva vent’anni fa e invece non è interessante quello che facevano gli uomini di D’Alema dieci anni fa?
Può piacere o no, ma quello che abbiamo fatto in questi giorni è uno degli esperimenti più interessanti della doppia morale che vige in questo Paese. Come vi abbiamo confessato il primo giorno, ci siamo avventurati nel boudoir del clan D’Alema con qualche titubanza: in linea di massima, crediamo che la politica debba evitare di infilarsi sotto le lenzuola altrui. Ma siamo stati costretti a misurarci su questo terreno. E ora, dopo l’esplosione della polemica, siamo più convinti che mai che fosse giusto tutto ciò, se non altro per mettere in luce l’ipocrisia dei nuovi moralisti, quelli per cui l’imbarbarimento della politica si può a patto che si faccia i barbari contro Berlusconi. Scusateci, ma sono davvero senza pudore: qualche anno fa hanno scritto che era sbagliato attaccare Clinton su una questione così personale come la Lewinsky; qualche tempo fa hanno scritto che era sbagliato attaccare Sircana su una questione così personale come il trans; ora scrivono che è sbagliato attaccare il clan D’Alema e Cesa per una questione così personale come la relazione con una maîtresse.

Nel frattempo però hanno sferrato il più violento attacco personale a base di gossip e violazione della privacy che si sia mai visto in un Paese civile. Dal che si deduce la legge fondamentale di questa Repubblica fondata sul lavoro di Ezio Mauro: in politica vale tutto. Ma proprio tutto. Solo se è contro il Cavaliere, però.

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