La caduta del Negus e quell’amarcord di Montanelli

I giorni della nostalgia. E della cavalleria. Furono, per Indro Montanelli, quelli in cui Hailé Selassié, gratificato del titolo di Negus Neghesti ossia «re dei re», venne prima deposto, poi imprigionato per mano di militari golpisti. I due editoriali che Indro Montanelli dedicò, il 28 agosto e il 13 settembre del 1974, a questo avvenimento tutto sommato minore, ebbero per caratteristica l’omaggio al potente caduto. Montanelli riconosceva al vecchio che aveva regnato per 58 anni il merito di non essersi lasciato influenzare né dall’odio né dalla vendetta nei confronti degli italiani: e azzardava poi una profezia magari facile ma azzeccata: «Alla satrapia del Negus si dovrà sostituirne un’altra». Niente democrazia.
Ma le righe dedicate al Negus erano anche un amarcord, il rimpianto montanelliano per la sua stagione giovanile d’ufficialetto nelle terre dell’effimero impero di Mussolini. Quell’esperienza coloniale sarebbe stata poi un motivo tra i tanti per chiamarlo, Montanelli, fascista.

Qualifica che gli affibbiarono anche per aver confessato di prediligere la pittura dei macchiaioli, e per avere rievocato Guareschi. Un perenne ricatto «che ammorba il Paese», e che veniva esercitato nei confronti di chi non era d’accordo. «Per sfuggire a questo terrorismo non c’è che un’arma: il coraggio».

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