Il Caimano, monumento a Silvio

Luca Telese

da Roma

Non sappiamo se Nanni Moretti lo abbia fatto consapevolmente, in fondo non importa. Conta il risultato, e di questo risultato un tempo si sarebbe detto: Il Caimano è un film «oggettivamente berlusconiano». Lo è a prescindere dalle (intenzioni di chi l’ha girato, ma lo è di fatto, col rischio di costruire una apologia involontaria del Cavaliere, devastante per i suoi critici. Ed è buffo assistere al dibattito preventivo fra i politici che non lo hanno visto, ma vorrebbero già giudicarlo: Romano Prodi si preoccupa (incredibilmente) se sarà «utile» alla campagna elettorale, il senatore Michele Bonatesta (An) per l’ospitata del regista-culto del cinema italiano a Che tempo che fa di Fabio Fazio, le agenzie si chiedono: Berlusconi lo vedrà?
Ora: avendolo visto, possiamo dire, senza apparire provocatori, che Il Caimano è a suo modo un monumento berlusconiano, e che se questo film (al pari degli altri di Moretti) diventerà un almanacco dell’Italia contemporanea, il popolo della sinistra scoprirà in sala che nel Caimano la sinistra è rifluita nel privato, rimossa, cancellata e tutto il dibattito dominato da un solo interrogativo: «Moriremo berlusconiani?». Fa impressione ripercorrere trama e copione, mettere a fuoco il dilemma di Moretti: Silvio Orlando è un ex produttore di genere un po’ sfigato («Mi chiamavano fascista») osannato da cinephile e inseguito dai creditori, che si innamora (per sbaglio) della sceneggiatura scritta da una ragazzina alle prime armi (Jasmine Trinca). Nelle intenzioni di questa strana coppia dovrebbe essere un film-verità su una ascesa leggendaria, una inchiesta sulle magagne del leader, difficile da girare perché scomodo: la Rai garbatamente non lo finanzia, gli attori hanno paura, danno forfeit. Moretti è nei panni di un se stesso scettico e un po’ annoiato che (all’inizio) rifiuta il ruolo di protagonista, Michele Placido (all’inizio) accetta e si preoccupa del copione: «Scusate, ma Berlusconi si è fatto da solo, a me piace per questo! Bisogna mettere più umanità nel suo personaggio, renderlo più sfaccettato». Macché, non lo sentono. Persino Moretti (nei panni di Moretti), quando lo contattano è duro: «Di Berlusconi si sa già tutto, a che serve questo film?». La Trinca insorge: «Ma se non l’hai letto il copione!». E lui, con un sorriso: «Appunto». E poi, incredibile sulle labbra di Moretti: «Tutti sanno tutto di lui, Berlusconi ha già vinto venti anni fa quando ci ha cambiato la testa!». Caspita. Non è Sandro Bondi a parlare, ma il regista più amato dalla sinistra italiana. Ed è davvero incredibile che Orlando e la Trinca - invece - durante il film immaginino un Berlusconi (Elio De Capitani) che pare l’imitazione del sosia di Berlusconi a Il Bagaglino, fotografato nella sua carriera con l’approssimazione di un fumetto o di un bignamino (per ripetenti). Come se chi ha sceneggiato il film non avesse letto i libri di Marco Travaglio o le documentatissime biografie di Giuseppe Fiori (Il venditore, Bompiani). Alla fine, in un duello dialettico fra «berlusconizzati rassegnati» e «anti-berlusconiani queruli», i più credibili sono proprio Placido e Moretti, che rifiutano il cliché. Anche perché è inverosimile l’idea del boicottaggio in un Paese in cui solo quest’anno sono usciti tre film sul leader azzurro (Citizen Berlusconi, Viva Zapatero, Era Polare), dove un giornalista pignolo come Giampaolo Pansa conta ben 126 libri su Berlusconi. Ed è inverosimile la paura del regime degli attori in un film dove (in realtà) recitano 13 attori e registi di grido.
Poi Placido dà forfeit. Mica male: rievoca commosso il ’68 e la militanza di sinistra ma preferisce i soldi e il ruolo di Cristoforo Colombo Rai al film «impegnato». Così il produttore squattrinato può girare una sola scena: «Se ne posso fare una, almeno lo faccio condannare!». Il vero coup de théâtre è qui, quando nei panni del Cavaliere arriva Moretti e sembra Il portaborse «2». Perché Moretti si innamora del suo Moby Dick, si cala nel lessico berlusconiamo, grida: «Ho fatto più riforme io in cinque anni che la sinistra in cinquant’anni di potere!». E, come se non bastasse: «Quanto è triste la sinistra, rende la gente triste! Io ho fatto sorridere gli italiani». In una notte tempestosa Berlusconi è condannato ed improbabili no-global forzisti (in questa parte ci stava bene Francesco Caruso) assaltano il tribunale a colpi di molotov. In realtà il film finisce proprio qui, quando dovrebbe iniziare, e ti pare che nel suo transfert Caimano-Berlusca-Botero (così si chiamava il protagonista de Il portaborse) Moretti viva un innamoramento inconfessabile per il suo feticcio. Per la prima volta mancano le grandi sentenze morettiane, solo gag brillanti: de Il Caimano si ricorderanno i finti B-movie di Orlando (Maciste contro Freud, Mocassini assassini, il finto «splatter maoista» Cateratte), ma anche lo sconcerto di Orlando per una coppia lesbo-gay. Se c’è una sinistra, in questo film, è una sinistra che si sente antimoderna in tutto tranne che nell’antiberlusconismo.

Ama i suoi figli, ma vede andare in pezzi la sua famiglia (Margherita Buy lascia Orlando), vede il deserto intorno a sé, e si trova inchiodata ad un unico dilemma, «Cavaliere sì-cavaliere no». Sbaglia Berlusconi a non vederlo: se lo facesse si divertirebbe. E forse guadagnerebbe punti nei sondaggi.
Luca Telese

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