Calcio in tv, rivoluzione Bonolis

Calcio in tv, rivoluzione Bonolis

Massimo Bertarelli

Sorride Paolo Bonolis, in maniche, rimboccate, di camicia (bianca) e cravattina scura allentata, seduto sui gradini del grande studio di Cologno Monzese, con i seggiolini arancioni a dargli sembianze di stadio. Sorride e ne ha tutti i motivi, ingaggio miliardario a parte: Canale 5 ha messo proprio lui al timone di Serie A, la trasmissione più attesa dell’anno, e non è un modo di dire, dato che dopo trentacinque anni giusti giusti, Mediaset ha tolto alla Rai uno dei suoi cavalli di battaglia. Altro che Berlino, il Muro di Viale Mazzini è caduto con un botto ancor più fragoroso. Almeno per i tifosi.
Dopo l’elegante omaggio, doveroso ma non tutti ci avrebbero pensato, allo storico 90° minuto di Maurizio Barendson e Paolo Valenti, datato 2 settembre 1970, e le rapide presentazioni degli ospiti, milanesi (Walter Novellino, Sebino Nela, Tony Damascelli) e romani (il male utilizzato Angelo Peruzzi e lo sconosciuto, al di sopra della linea gotica, Marcello Micci), «entriamo nelle vive carni». Monica Vanali, una maliziosa scollatura sull’abito con sciarpa incorporata a tinte vivaci, legge a mitraglia i risultati, piazzando un vezzoso «Fiore» al posto di Fiorentina. Prime evidenti differenze dal 90° di Paola Ferrari, la neonata Serie A ha il pubblico plaudente in studio e non parte con la partita più loffia, bensì con l’Inter, che guarda caso è Beneamata anche da Bonolis.
Il re dei conduttori, all’inizio un po’ ingessato nonostante l’abbigliamento supercasual, non esita a intervenire a piedi uniti, rubando più spesso del lecito il microfono a Bruno Longhi, spedito a intervistare Mancini. Le domande sono prettamente tecniche, Bonolis tiene a far sapere che il pallone per lui non ha segreti, tantomeno quello estero (citazioni dotte di Real Madrid e Glasgow Rangers). «Noi vorremmo avere una finestra di aria pura col calcio giocato» spiega e sull’immagine di un tifoso dell’Ascoli che strizza la maglia gonfia di pioggia cede la linea alla pubblicità. Seconda partita, Lazio-Messina, con prologo interminabile e impaperato del mezzobusto (a figura intera) Marco Cherubini, che si rifà con una sintesi impeccabile del match.
Poi la parola passa a tale Alessandro Longhi, esperto di statistiche, anche strampalate (come l’elenco dei giorni della settimana in cui sono nati i vari autori del gol!) citate a raffica, forse con l’intento di prendersi lo scettro di Giorgio Tosatti, che su corsi e ricorsi calcistici è stato per anni la venerata Cassazione. Via via si susseguono i servizi: Siena-Cagliari, Udinese-Empoli, dove Bonolis pungola un titubante Antonio Bartolomucci: «Ti dobbiamo sottotitolare?».
Toh, chi rivede, dopo cinquantadue minuti ritrova la parola Monica Vanali per leggere sulle agenzie i convocati della nazionale. Finalmente ecco un’idea, per dirla con Bonolis, di nuovo conio: il doppio commento di Fiorentina-Sampdoria, anticipo del sabato sera affidato a due popolari tifosi «dichiaratamente partigiani», il cantante viola Marco Masini e il comico blucerchiato Dario Vergassola.
Alla moviola il Matteo Dotto ben noto ai frequentatori di Controcampo mostra il minimo indispensabile, attirandosi il sarcasmo di un Bonolis («tronco corporeo l’ho sentito solo per il mostro di Milwaukee») che probabilmente si riascolta poco: è infatti l’unico in Italia a usare il patrizio «qualora» invece del plebeo «se». Un provinciale ping pong giornalistico Milano-Roma sull’estenuante caso Cassano ha un unico merito: trasformare in rabbia il nervosismo dei tifosi milanisti che hanno dovuto aspettare la bellezza di un’ora e 27 minuti per gustarsi, si fa per dire, la sintesi di Ascoli-Milan.

«Paolo ci senti?» piombano in voce i tre goliardi della Gialappa’s, distribuendo esilaranti sberleffi assortiti (lo spaesato Gilardino e il penoso Preziosi in prima linea) e beccandosi la più bella battuta della giornata, targata Bonolis: «Come quale Presidente? Siamo a Mediaset, quindi Moratti». Buona, o meglio discreta, la prima. Sipario.
Massimo Bertarelli

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