Camera, Bertinotti si candida presidente

Ma nell’Unione scoppia una polemica al giorno: riformisti ds contro quelli della Margherita, Rifondazione respinge la lista Arcobaleno con Verdi e Pdci

Camera, Bertinotti si candida presidente

Luca Telese

da Roma

Fra una polemica e una contraddizione l’Unione non abbandona il gioco della poltrona. Alla contesa partecipa da ieri anche Fausto Bertinotti che ha candidato Massimo D’Alema al Quirinale per liberarsi di un pericoloso concorrente all’unica poltrona a cui veramente ambisce: quella di Casini. «Massimo D’Alema è un buon candidato per il Quirinale, a prescindere da chi andrà a presiedere la Camera» spiega il segretario di Rifondazione che aggiunge: «Non vedo nessuna pregiudiziale a un candidato che viene dalla storia del Pci, per me non esistono i post tanto meno i postcomunisti». Bertinotti non nega nemmeno l’ipotesi di una sua candidatura sullo scranno più alto di Montecitorio. «Non entrerò mai nel governo, ma non escludo l’assunzione di una responsabilità di tipo istituzionale».
È una carta pesante quella che gioca Fausto Bertinotti, una carta che sicuramente creerà altre tensioni all’interno dell’Unione già scossa al punto da sembrare sempre sul punto della rottura come dimostra anche l’ultima lampadina rossa che si è accesa ieri mattina, quando Europa - il quotidiano della Margherita - ha aperto (come se non ce ne fosse bisogno) un nuovo fronte: questa volta nel mirino c’è il Pdci, bersaglio di un fondo in prima pagina da attribuire alla direzione. Una scudisciata che prende spunto dalla nota vicenda del sindaco di Marano e della sua strada intitolata a Yasser Arafat. La Margherita scrive parole di fuoco sul sindaco e sul suo leader Oliviero Diliberto: «Lui e i suoi compagni sono irrecuperabili». E poi ironizza: «Il russo essendo fuori moda, non sapremmo indovinare l’idioma di riferimento dell’ormai famoso sindaco di Marano e del suo segretario nazionale che coprono e scoprono targhe stradali grondanti di ideologia: per riportarli ai giorni nostri e a uno straccio di responsabilità nazionale sarebbe da spedirli in qualche campo di rieducazione democratico». Insomma Europa augura il lager ai suoi alleati neocomunisti, mica male, cose che Il Secolo d’Italia nemmeno se le sogna. Così, se solo provi a riassumere i focolai di polemica accesi nel centrosinistra il quadro si fa impressionante: i radicali, alleati dello Sdi, continuano a denunciare discriminazioni nei loro confronti (ad oggi per capire se sono dentro o fuori dall’Unione, ci vuole una laurea in politologia). I riformisti dei Ds (Peppino Caldarola) sono ai ferri corti con i riformisti della Margherita (Arturo Parisi), fino all’anatema dell’invito a morire (politicamente, e ci mancherebbe altro). Lo stesso Caldarola, insieme a una pattuglia qualificata di esponenti dei Ds, dà vita al club - è stato ribattezzato così - «dei demoscettici», con l’obiettivo dichiarato di opporsi al partito unitario. Rifondazione non vuole fare la lista dell’Arcobaleno con i Verdi e il Pdci. I tesorieri di Ds e Margherita tagliano i fondi allo «pseudotesoriere» dell’Ulivo, ovvero Angelo Rovati, il braccio destro economico di Romano Prodi. In Sicilia poi, Margherita e Ds sono ai ferri corti sulla designazione del candidato presidente da opporre a Totò Cuffaro: un duello senza quartiere tra Ferdinando Latteri e Rita Borsellino, in cui vengono tirati in ballo gli spettri della mafia e dell’antimafia. A Bologna infuria la guerriglia nella giunta Cofferati, con annessa telenovela, quella sull’ordine del giorno - bomba a orologeria - sulla legalità. Intanto l’Udeur è uscita dalla giunta, i Verdi pure, Rifondazione tiene in bilico il suo assessore Maurizio Zamboni (in carica ma non si sa per quanto). Il segretario cittadino del Prc si è preso un paio di manganellate dalla polizia durante un corteo che assediava il municipio: al confronto il centrodestra, con le sue piccole frizioni, sembra un kindergarten. Gli uomini del Cinese - poi - lanciano un grido di allarme: attenti che quella di Bologna è solo la prova generale dei problemi che Fausto Bertinotti si prepara a creare a Roma.

Possibile?
A questo punto non resta che farsi una domanda: è solo la riproposizione del classico schema «marciare divisi colpire uniti»? Stavolta sembra proprio di no, e a dimostrarlo ci sono anche le difficoltà a produrre il famigerato programma.

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