Ma in carcere non ci finisce

L’aggressione dei due anziani coniugi a via Margutta da parte di un gruppo di extracomunitari che volevano soltanto distogliere l’attenzione dei vigili urbani dalla loro fuga, non è che uno degli innumerevoli fatti di cronaca che si registrano quotidianamente nella capitale. Le forze dell’ordine, ormai, conoscono le dinamiche di chi delinque, le tattiche usate per farla franca. E sono costretti a prendere atto che il loro sforzo sul campo spesso viene vanificato da una giurisdizione troppo indulgente con chi delinque. Lo sa chi indossa la divisa e lavora per far rispettare la legge, ma lo sa soprattutto chi vive fuori dalla legalità. E lo fa anche confidando nelle maglie non certo rigide della nostra giustizia e nella «non certezza» della pena che fa dell’Italia il Paese prediletto dai criminali di Paesi come la Romania, dove chi sbaglia paga fino all’ultimo il suo debito con la giustizia. Senza sconti. A Roma, invece, è facile vedere un gruppo di senegalesi malmenare due anziani coniugi in centro per una passeggiata soltanto per aprirsi un varco nella fuga, nella consapevolezza che, dietro l’angolo, potranno continuare ad esporre la loro mercanzia indisturbati.

Sempre nel centro storico, questa volta a piazza della Cancelleria, tre turisti possono essere aggrediti a calci e pugni, feriti con un coccio di bottiglia e rapinati da due malviventi che, nonostante abbiano entrambi precedenti penali specifici, il carcere non lo vedranno neppure in fotografia: dopo essere stati processati per direttissima, infatti, l’uomo, un ghanese residente a Viterbo, se la caverà con gli arresti domiciliari, la donna, di origini ghanesi ma naturalizzata italiana, con l’obbligo di firma. Ma, insomma, che giustizia è se nemmeno i delinquenti recidivi, arrestati quasi in flagranza di reato e processati per direttissima finiscono in galera?

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