All’origine c’è Nicolò Machiavelli (1469 – 1527) uno che, culturalmente parlando, era un vero bombarolo. Quello che potrebbe essere considerato uno dei padri fondatori delle moderne scienze politiche è noto per due sue riflessioni piuttosto iconoclaste e antipapiste (se non anticattoliche).
Eccole come sono formulate nei Discorsi (ma ci torna anche altrove): «Abbiamo addunque con la Chiesa e con i preti noi Italiani questo primo obbligo: di essere diventati senza religione e cattivi; ma ne abbiamo ancora uno maggiore, il quale è la seconda cagione della rovina nostra: questo è che la Chiesa ha tenuto e tiene questa provincia divisa». Idee professate e sviluppate quasi in coincidenza con l’esplosione della riforma luterana in germania che sono rimaste tra i leitmotiv del dibattito politico del nostro Paese, almeno sino a tutto l’Ottocento. Il secondo tema ha perso gradualmente di interesse quando il Risorgimento ha preso una strada unitaria (il che non era automatico e scontato) culminata nella fine del potere temporale dei papi. Il primo punto, più complesso, invece resta aperto e molto difficile da maneggiare. Infatti a meno di non voler procedere a colpi d’accetta (e Macchiavelli a volte lo faceva, attirandosi il biasimo di Guicciardini più attento al «particulare») addentrandosi nel tema si rischia di uscire dal seminato sia della storia che del politico per inciampare nelle questioni di fede.
Bene, Giordano Bruno Guerri ha avuto il coraggio di affrontare il tema già nel 1992 con Gli Italiani sotto la Chiesa, da San Pietro a Mussolini raccogliendo la sfida di entrambe i quesiti del fiorentino. In un saggio che sta ben attento a mentenersi lontano dalla fede - «Nessun dogma, nessuna credenza, nessuna fiducia nel divino verranno messe in discussione» - cerca di capire che ruolo ha avuto la Chiesa -intesa come «gerarchia ecclesiastica come si è istituzionalizzata e estrinsecata nei secoli» - nella creazione formazione del carattere nazionale degli Italiani. Ora di quel ponderoso lavoro arriva la versione riveduta e corretta che si spinge sino alla contemporaneità più stretta: Gli Italiani sotto la Chiesa da San Pietro a Berlusconi (Bompiani, euro 21,50, pagg. 558). Nella nuova versione al vaglio dello storico passano anche gli anni più recenti della nostra storia. E Guerri che pur rifiuta l’anticlericalismo non si tira indietro nel mettere in luce come il peso del Vaticano nella società e nella politica continui a restare un fattore di anomalia.
A partire dalla nascita della Dc che Guerri definisce: «Non un semplice partito politico, nemmeno un difensore generico delle istanze cattoliche, ne l’espressione di una libera visione del mondo. Era stato creato un vero e proprio garante della Chiesa cattolica, che riceveva il compito dal Vaticano il compito di realizzarne gli interessi e assicurare lo status del cattolicesimo come religione di Stato». Questo ovviamente senza negare che il ruolo egemone della Balena bianca abbia portato al Paese una soluzione accettabile alla guerra fratricida, che l’aveva insanguinato dopo l’otto settembre, e la prosperità economica. Resta il fatto che però i tentativi di creare uno stato laico così tenacemente portati avanti nel Risorgimento vennero meno. Ad esclusione di orientamenti minoritari, coltivati in seno al partito socialista e ai cenacoli liberali come di quello di Pannunzio, la cui penetrazione popolare fu però «assai ristretta» mentre la loro azione «si rivelò elitaria». Sì perché secondo Guerri il partito comunista, per questioni di opportunismo, si guardò bene dall’essere davvero laico: «I dirigenti del Pci sapevano bene che il loro elettorato non era composto solo da operai cresciuti nelle fabbriche... erano anche uomini e donne timorati di Dio... fedeli nel rispettare un rito e un codice atavico che nessuna lotta politica poteva mettere in discussione». Ecco allora la spiegazione di un Paese nel quale determinate istanze modernizzatrici, soprattutto sul piano sociale, nascono lontano dalle dirigenze dei partiti maggiori e spesso stentano. Una situazione che, per l’autore, non è venuta a cadere nemmeno dopo la fine della Prima Repubblica. Nel bipolarismo tra centro-destra e centro-sinistra «La chiesa ha potuto, nei quindici anni successivi, oscillare da un polo a un altro: segno di forza non di debolezza... nella politica reale non c’è discontinuità. Lo dimostra l’approvazione di un disegno di legge per la parità tra scuola pubblica e privata: l’iter legislativo dura tre anni, e a portarlo a termine sarà il nuovo capo del governo, un ex comunista, Massimo D’Alema». E il rischio di questa situazione sarebbe questo: «In Italia la Chiesa finisce per trasformare in fatto le proprie intenzioni soltanto - si fa per dire - quando le sue battaglie coincidono con la limitazione delle libertà e con principi etici di retroguardia». Una posizione forte, ma argomentata senza astio che porterà inevitabilmente, a discussioni forti. Soprattutto perché per Guerri «Gli Italiani saranno “cattivi” fino a quando, fingendo di essere cristiani, dovranno essere “cattolici” senza via di scampo e senza Stato».
Insomma alla fin fine rivoltando la frittata, avvelenata, di Machiavelli risulterebbe vera la provocazione di uno storico cattolico, Arturo Carlo Jemolo, che scherzando sulle elezioni del 1948
scriveva così: «Se gli italiani avessero una certa elasticità mentale, mi farei fautore di un movimento per la restituzione di Roma al papa... Il papa ha bisogno di un suo stato: se no tutta l’Italia diventa Stato Pontificio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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