Caro rettore, io ex allieva ti restituisco la mia laurea

Quel diploma ormai è un marchio di infamia, meglio liberarsene. Eppoi non è mai servito a niente...

Alla Sapienza mi sono laureata molti anni fa. Sto per rimandare indietro il mio sudato diploma di allora, 110 su 110, in Filosofia, perché non lo voglio più, se lo riprenda, gentile rettore Guarini. Non mi è mai servito a niente, ho sempre ritenuto ingiusto dare un valore legale alla quantità e alla qualità di quel che si studia, ma oggi è diverso, è un marchio d’infamia. Meglio liberarsene.
Erano allora anni di un casino inverecondo, subito dopo le rivolte studentesche, le regole scardinate, gli insegnanti spesso grotteschi emuli dei loro allievi, le file, le scritte blasfeme, gli esami collettivi, il voto politico, il disagio e la vigliaccheria di non esprimere quel che pensavo. Ricordo di aver fatto del mio meglio per studiare lo stesso. Col passare degli anni, e l’esperienza di altre università del mondo, mi è stato chiaro che l’errore partiva proprio da lì, scuole e atenei indegni di un Paese civile. Oggi la Sapienza tocca il fondo e io mi vergogno ancora una volta dell’Italia. Provate a immaginare se il Papa avesse deciso di tenere una lezione in un qualunque luogo addetto al sapere nel mondo, e gli avessero sbattuto la porta in faccia. Ci saremmo indignati, gridando all’intolleranza, tanto non riguardava noi. Saremo capaci di indignarci sul serio oggi, di prendere le difese di un professore, di un uomo colto, di un uomo anziano, di un indifeso, che ha subito la più grave delle violenze nella nostra capitale? Siamo capaci di capire il valore e la gravità degli eventi, o tutto ci scivola addosso?
Mi vergogno ancora di più perché non sono credente, e sulla carta rischio di essere inghiottita nel numero degli intolleranti mascalzoni, quando invece ne conosco il conformismo laicista, la moda dell’ingiuria imperante nelle università e tra gli intellettuali, il vezzo becero di spendere sempre una parola contro il Papa e la Chiesa. Tanto è vero che il ministro dell’Università, Fabio Mussi, ha taciuto fragorosamente per molti giorni, dall’inizio della brutta storia, ha lasciato che una minoranza di docenti capitanati dal famigerato Marcello Cini e da quel fiore di tolleranza di Alberto Asor Rosa, prendessero possesso della piazza, ha detto infine due parole di circostanza piuttosto infami - se davvero pensa che sia una cosa molto grave e sbagliata allora doveva neutralizzarla in tempo, oggi non gli resta che dimettersi - solo dopo aver avuto la sicurezza della rinuncia del Papa. È un ministro questo? È un presidente del Consiglio uno che glielo lascia fare e poi balbetta un rammarico inesistente?
Sarebbe bastato chiedere alla maggioranza silenziosa dei docenti, che non ha scritto al rettore la lettera di protesta contro la visita, di dichiararsi anche loro, a favore, e metterci sotto qualche migliaio di firme. Sessanta individui invece hanno spadroneggiato nella Sapienza, spacciando per difesa della ricerca scientifica il loro integralismo e la loro voglia di censura. Eppure la Sapienza proprio da un Papa è stata fondata, e la lectio di Papa Ratzinger avrebbe ben sopportato la stupidità delle pantomime di una comica tanto di sinistra, Paola Cortellesi, invitata dai dimostranti, come aveva sopportato le polemiche seguite al discorso di Ratisbona. Allora abbiamo visto l’Islam integralista ribellarsi prima di aver letto e capito, o più semplicemente in malafede, al discorso di Benedetto XVI. Anche in quella occasione i docenti talebani attaccarono il Papa, oggi hanno compiuto l’opera e non lo fanno parlare. Questo Papa che è un grande teologo, che non rifugge dalla folla, ma al misticismo mediatico preferisce il ragionamento sottile, questo Papa che conosce a fondo la storia e lo scontro delle religioni, lo spirito di conquista dell’Islam e la perdizione che sta in fondo alla nostra ignoranza di occidentali, è già un po' martire.

Vorrei essere certa che la rinuncia a parlare sia avvenuta solo per garantire la sicurezza del Pontefice, e non per decisioni di opportunità politica, per non mettere qualche politico che con leggerezza si definisce liberale, in difficoltà. L’imbarazzo a volte è un ottimo strumento di educazione politica, cari Walter Veltroni & company.

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