Una carriera in fumo

Vi renderete conto, spero, di che cosa significhi il recente benestare della Commissione europea alla possibilità di non assumere un fumatore in quanto semplicemente fumatore: e si badi bene che la nota polemica sugli effettivi danni del fumo qui non c'entra nulla, stiamo già dando per scontato che fumare faccia male. Vi renderete conto, voglio dire, che una decisione del genere spalanca le porte a una definitiva intromissione dello Stato-madre nel nostro privato, anzi peggio, perché ciò ufficializza una Sanità pubblica che inglobi ormai la dimensione sociale e comportamentale della nostra vita, dunque un pensiero unico e igienizzato che individui una devianza in ogni presunta causa di insalubrità, in ogni stress, in ogni dipendenza, in ogni potenziale instabilità affettiva.
Si badi anche bene che la discriminazione non riguarda un comportamento illegale, non si tratta di negare il lavoro a un tossicomane o a un violento, e non si tratta neppure di vietare le poco economiche pause-sigaretta al personale di un'azienda tignosetta: si parla di escludere, qui, chi fumi magari una sola sigaretta al giorno nel buio della propria stanzetta; si parla di un terzo dei datori di lavoro americani (per ora) che ai colloqui di assunzione già chiede esami del sangue e delle urine per cercare tracce di nicotina, e nel caso dei Vigili del fuoco rifiutano l'assunzione a chi fosse stato fumatore anche solo due anni prima. Si vogliono declassare le scelte personali a curriculum di idoneità sociale. Chi gioisce per la decisione della Commissione europea sostiene che i fumatori puzzino e siano antisociali, ma queste sono sciocchezze, è difficile che un tizio puzzi dalla sera prima o che non abbia viceversa fumato proprio perché la vita sociale l'ha fatta. Il vero discrimine infatti è nelle parole del tizio che appunto per primo, in Europa, non assumerà ufficialmente fumatori e ora potrà licenziare quei dipendenti che la domenica dovesse beccare ai giardinetti ad aspirare una Marlboro: «Fumare è idiota - ha detto - e chi ignora l'evidenza non ha il livello di intelligenza che sto cercando».
Non è chiarissimo perché il discrimine, un domani, non dovrebbe riguardare anche chi porti per esempio tatuaggi o vada in ferie a Rapallo abbia l'abitudine di leggere, chessò, Micromega (sui livelli di intelligenza ciascuno ha le idee sue) ma in compenso è chiarissima la legittimazione sanitaria che questo discrimine sta avendo a livello comunitario, e nondimeno ha avuto sul Corriere della Sera di ieri. Pietro Ichino, difatti, ha scritto questo: «Il fumatore è statisticamente più soggetto di altri a malattie dell'apparato respiratorio». E già su quello «statisticamente» si potrebbe scriverci un libro (c'è chi l'ha scritto) e tuttavia andiamo oltre: «Il rischio derivante dal fumo non è equiparabile agli altri rischi per la salute: questi sono inevitabili, quello no, è un rischio che il fumatore sceglie deliberatamente di correre». Ebbene, la premessa del ragionamento è oggettivamente falsa: tra le cause di morte e di malattia, cause che s'intendano removibili, il tabacco non solo non è primo in classifica (come i più accaniti anti-fumo non faticherebbero ad ammettere) ma viene decisamente dopo l'alcol e in primo luogo l'alimentazione. Il professor Umberto Veronesi, sull'Espresso ultimo uscito, ha giustappunto sostenuto che a una cattiva nutrizione è legato almeno il 50 per cento dei tumori, e siamo al punto: perché siamo a un passo, tracciata la via, dal discriminare per esempio chi sia in sovrappeso e mal si nutra (in Occidente sono poche centinaia di milioni) rispetto a colui che il neosalutismo religioso immoli a diete e palestre e ginnastiche: assumeranno lui. Per molti aspetti ci siamo già arrivati: in Inghilterra hanno proposto di negare la mutua ai fumatori, negli Usa hanno proposto di toglierla agli obesi, presto probabilmente penseranno che assumere un astemio sarà comunque meglio che assumere chi sorseggi del Tavernello una volta la settimana: senza contare che negli Stati Uniti, almeno in alcuni Stati, il peso dei bambini è già un preciso e discriminante voto in pagella. Attenzione, non stiamo parlando di un criterio selettivo di tipo nazistoide che discrimina le condizioni fisiche di una persona e le sue probabilità di contrarre malattie: il diritto internazionale questo lo vieta chiaramente, così come impedisce che le aziende possano indagare sulle condizioni fisiche di un individuo e sulla sua predisposizione a contrarre malattie. E infatti, come affermato, stanno puntando tutto sui comportamenti privati dei singoli, e tuttavia, va detto, ciò accade con criteri non sempre estranei ad autentiche fobie culturali o neosalutiste. Perché se è vero che in alcuni Stati americani per esempio non assumono scapoli (e non mancano studi secondo i quali gli scapoli vivano meno) è anche vero che in Canada invece non assumono nessuno che faccia uso di profumo, e tantomeno chi ne faccia uso può salire su un autobus o su un aereo: in Nordamerica, vinta da tempo la guerra del fumo, pur senza basi scientifiche, sono convinti che gli odori e i profumi, persino l'incenso delle chiese, equivalgano a emissioni di sostanze comunque patogene.

Chi si profuma, in Canada, per un datore di lavoro è idiota come da noi sta diventando il fumatore, e chissà, presto lo scapolo, l'obeso, il bevitore, il caffeinomane: colui che si ostini pervicacemente a ignorare, insomma, che causa primaria di morte è proprio quel suo esclusivo, personalissimo vivere.

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