Casini: «Si cambia». Ma Baccini frena

da Roma

Una cosa è certa, l’Udc non va in ferie. E infatti basta una lettera del suo leader Pier Ferdinando Casini a La Stampa per far infiammare il dibattito estivo dentro la formazione centrista. Scrive Casini: «In Francia il presidente Sarkozy ha archiviato le stagioni ideologiche rompendo tabù e incomunicabilità, facendo un governo della modernizzazione contro tutti i conservatorismi. La sfida è questa: essere, insieme, moderati e radicali si può».
Parole di forte innovazione, rispetto ai toni medi del dibattito postdemocristiano in Italia, e suscitano anche delle reazioni nette, come quella di Mario Baccini, grande controllore di apparati, uno dei dioscuri dello scudocrociato a Roma. Ma davvero l’ex presidente della Camera pensa di rubare la palma del «sarkozismo tricolore» a Gianfranco Fini, l’uomo che da anni coltiva il mito del nuovo inquilino dell’Eliseo?
A leggere le sue parole sembrerebbe proprio di sì: «Per l’Udc - spiega Casini - la battaglia dei prossimi mesi non sarà quella di rifondare un improbabile partito che contrapponga la definizione “centro”, alle prevalenti “destra” o “sinistra”, perché siamo consci che ormai questi schemi sono logori e vecchi, figli di stagioni ideologiche». E ancora: «Oggi - scrive nella lettera il leader Udc - il Paese chiede altro. Qualcosa di radicalmente nuovo che non sia sia figlio della nostalgia. Personalmente, voglio impegnare me stesso e il partito di cui faccio parte, l’Udc, a essere parte attiva di un contenitore radicalmente riformatore».
A Baccini questi toni non piacciono. E infatti l’ex ministro distilla una nota che pare studiata con pesi e contrappesi, ma che sicuramente marca la distanza dall’esternazione casiniana. «L’ipotesi di un centro moderato e riformista la capisco - avverte Baccini sul filo della polemica - quella di un centro radicale francamente non so che è. Basta con formule per addetti ai lavori, è ora di fare chiarezza». Su cosa? «È da settimane - osserva Baccini - che Casini, Cesa e Giovanardi usano molto inchiostro per delineare gli obbiettivi del partito. Io credo che bisogna farla finita con le formule e tornare a parlare al cuore della gente, fare chiarezza e rilanciare il progetto di una forza ancorata al popolarismo europeo». Insomma, niente strappi o fughe in avanti, nessuna contaminazione estranea alla tradizione del Ppe.
Ma intanto Casini continua per la sua strada, e ci tiene anche a far sapere che non sente alcun richiamo della foresta verso la Casa della libertà, malgrado le aperture del Cavaliere, certo di un imminente ritorno all’ovile del partito centrista: «Oggi Berlusconi - ironizza Casini - può dire ciò che vuole».


Anche Baccini, però non abbassa la guardia: «Dietro tutto il polverone di formule sentite in questi giorni mi pare che si nasconda una grande incertezza: forse Casini dovrebbe riunire l’ufficio politico per capire dove va l’Udc».

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