La cattolica Bindi si converte ai Pacs: sì alle unioni civili

Roberto Scafuri

da Roma

Di sorpresa in sorpresa. Lei, Rosy Bindi, ha scoperto nottetempo di essere stata indirizzata al ministero della Famiglia piuttosto che all’Istruzione: eppure si era «adattata a fatica all’idea», aveva studiato ed era già decisa a cambiargli nome, tornando a «Pubblica istruzione». Ha masticato amaro, non ha fatto polemiche, si è riadattata a fatica alla nuova idea, ha ristudiato, si è presentata sulla famiglia con un’intervistona che occupava ieri l’intera pagina tre del Corsera.
Ahi ahi ahi: qualche sassolino le è sfuggito dalla scarpa per infilarsi in quella del collega Fioroni («Se non saprà acquisire una mentalità ulivista... non sarà in grado di governare un ministero così complesso»). Ma soprattutto: se il Papa nei giorni scorsi aveva più volte chiamato all’appello, le risposte giunte dalla Bindi non sono quelle attese. Di qui il sorprendente entusiasmo di Emma Bonino, la delusione di Udc e An, la sollevazione dell’Udeur, la difesa sperticata del comunista Marco Rizzo (che parla di «linciaggio mediatico»). Cattolica, la Rosy, resta ultracattolica: le parole di Ruini sull’istituzione del ministero per la Famiglia «sono state una delle consolazioni di questi ultimi giorni». Però «ora il mio essere credente è messo alla prova: dovrò trovare una sintesi fra i miei valori e il rispetto per il pluralismo e l’evoluzione della società, per le idee e le inclinazioni diverse». Seguono le prime sintesi. Sui Pacs: «Questa parola nel programma dell’Unione non c’è. Si parla di unioni civili, e di diritti da garantire». Ovviamente, nella sfera pubblica (in quella privata - come avrebbe voluto Rutelli - non ci sarebbe stato bisogno di alcun riconoscimento). La Bindi si toglie un altro sassolino per Rutelli, autore dello scherzetto del cambio di ministero: «A me pare che non sia possibile né giusto separare rigidamente le due sfere, quando si parla di diritti delle persone. Dov’è il confine tra privato e pubblico? Se c’è una norma che si applica a due persone, anche i terzi sono tenuti a rispettarla. Vedremo. Ne discuteremo. Dovremo evitare uno scontro ideologico». Meglio ancora ha dichiarato ad Avvenire, ammettendo che «sarebbe colpevole ignorare la pluralità di situazioni» extra-familiari. Sulla fecondazione assistita la Rosy sorprende di più: «È fondamentale che nessuna coppia sia costretta a rinunciare a un figlio perché non ha i mezzi per crescerlo... La legge sulla fecondazione va affidata al Parlamento. Sbaglia sia chi dice che non va toccata, sia chi dice che va stravolta. Un anno fa, al referendum, prevalse l’astensione; ma gli astensionisti sostennero tra l’altro che non poteva essere un referendum a sciogliere il nodo. Mancarono allora una riflessione e una discussione che adesso sono necessarie».
«Brava e coraggiosa!», esulta la ministro Bonino apprezzando le «aperture sincere» e proponendo di chiamare i Pacs «Giuditta o Genoveffa, poco importa». Si accoda esagerando il radicale Daniele Capezzone: «Dalla Bindi una bella prova di laicità!». Bilancia il saggio socialista Roberto Villetti: «È piuttosto uno stimolo che spinge concretamente l’Ulivo sul terreno della laicità». Stimolo che raggela il mastelliano Mauro Fabris: «Nel programma dell’Unione da noi sottoscritto non ci sono le modifiche legislative proposte dalla Bindi». Media il ministro Alfonso Pecoraro Scanio: «Il riconoscimento dei diritti delle unioni di fatto fa parte del programma e va realizzato con sobrietà. Precisando che questo non ha nulla a che vedere con il matrimonio tradizionale, con la famiglia tradizionale, che anzi va rafforzata».
Dai cattolici del centodestra si rileva invece la «conversione» o addirittura «la sindrome di Stoccolma» di cui la Bindi «è vittima». Il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, non concede assoluzioni: «Nel programma confuso e contraddittorio della Bindi non c’è nulla di cattolico. Emerge piuttosto il profilo di una famiglia che si avvia alla disgregazione e alla mutazione genetica. Su vita e matrimonio, dice il Santo padre, non si può negoziare. Noi siamo d’accordo, la Bindi invece è pronta alla capitolazione». Niente sconti da Luca Volontè, che parla di «ire rancorose di Monna Rosy». Alfredo Mantovano (An) chiede di sapere nel concreto i progetti e Maurizio Gasparri sospetta che dietro le «ambigue affermazioni» vi siano «sedicenti cattolici che in realtà sono già proni di fronte alle pretese della sinistra». In effetti, Vladimir Luxuria e Titti De Simone (Prc) scorgono un cambio di mentalità nelle parole bindiane, tanto da immaginare che «per la prima volta il riconoscimento pubblico delle unioni civili non sembra più uno scoglio insormontabile».

Così il presidente del Senato, Franco Marini, definisce un «dovere» riconoscere «l’estensione dei diritti civili alle forme diverse della convivenza», e la ministro delle Pari opportunità, Barbara Pollastrini, annuncia che tra i primi atti presenterà un ddl sulle unioni di fatto.

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