CHAGALL E MIRÓ I prestigiatori del colore

Alla Fondazione Mazzotta l’opera grafica dei due artisti

Luciana Baldrighi

Il mistico e il materialista, ovvero l’aereo e il tellurico: in questo gioco di antinomie e di contrasti c’è tutta la vicenda artistica di due giganti del ’900 quali Chagall e Miró, protagonisti di un’esposizione alla Fondazione Mazzotta dal titolo Magia, grafia, colore. Pressoché coetanei (nato a Vitebsk nel 1897 e morto a Saint Paul de Vence nel 1985, il pittore ebreo-russo era di cinque anni più grande del collega spagnolo), entrambi longevi (il primo morirà quasi centenario, il secondo a 90 anni), Chagall e Miró furono due straordinari «inventori di forme e prestigiatori del colore», come sottolinea Dominique Paini nella sua introduzione alla mostra. Lo furono in particolare a partire dalla metà del ’900 quando, su invito di Marguerite e Aimè Maeght, i creatori della Fondazione omonima, diedero forma a opere mirabili: archi di ingresso e labirinti di ceramiche e bronzi, mosaici esterni. Ed è proprio sulla falsariga del rapporto unico che legò i due aristi a questa istituzione francese che Paini ha pensato questa raffinata rassegna italiana: 59 litografie a colori di Chagall, un monotipo e una gouache, un paravento del 1963 e l’acquarello «Les amoureux» dello stesso anno, preparatorio al mosaico della Fondation Maeght; 90 fra acqueforti, acquetinte, litografie a colori di Miró, a partirte dalla série noire et rouge del 1938 alla «Série de Barcelone» del 1944, senza dimenticare le grandi litografie La conversation e Le demoiselles aux papillons, nonché le acquetinte colorate come la «Galatheée IV» e l’«Aigrette rouge». È un’incredibile fantasmagoria di linee e di colori che in Miró veste degli abiti ludici dell’invenzione surrelista, mentre nella produzione incisa di Chagall rincorre il clima onirico e spiritale di una poetica in cui predominano clowns e centauri, mostri e acrobati, animali e astri. Per entrambi gli artisti, del resto, l’opera incisa non deve intendersi come un’arte minore, bensì come un elemento distinto e compiuto all’interno di una creazione pittorica eccezionale. Quando Chagall vi si accosta, a partire dagli anni Venti, è già un pittore di riconosciuto valore ed è grazie al mercante d’arte Ambroise Volland, il grande anticipatore dei gusti dei suoi contemporanei, che si hanno le incisioni abbinate a capolavori della letteratura quali Le anime morte di Gogol, le Favole di La Fontaine, la Bibbia.
Quanto a Miró, dalla prima litografia del 1930 per i «Cahiers d’Art» fino alle ultime più monumentali composizioni, si avverte come la carta, la pietra o la lastra facciano parte di un particolare procedimento tecnico utilizzato nella costante osservazione di un mondo inedito, la materia al servizio di nuove accresciute possibilità espressive. In ambedue gli artisti, inoltre, il punto d’arrivo dell’opera incisa, l’apparente semplicità della versione definitiva, è il frutto di un paziente lavoro fatto di riflessioni, pentimenti, attese, prove e riprove. Esemplari, sotto questo profilo, sono le parole di Chagall rivolte ai colleghi più giovani: «Bisogna lavorare, sempre lavorare, riflettere, riprendere. Non si può tentare di raggiungere un ideale senza un lavoro immenso, bisogna dare il cento per cento di se stessi, se date l’ottanta per cento vuole dire che non siete appassionati, oppure che non avete talento.

Bisogna lavorare sino alla fine assolutamente, non per guadagnare denaro, ma per la qualità dell’opera. La qualità dà il senso alla vita».
Chagall e Miró, Foro Buonaparte 50, fino al 14 gennaio 2007, orari 10-19,30, chiuso lunedì.

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