Chailly spiega Puccini: «Turandot» a porte aperte

Stasera la Scala ospita gli studenti di atenei, conservatori e accademia. L'opera vara i sei mesi di Expo con una «prima» delle grandi occasioni

Chailly spiega Puccini: «Turandot» a porte aperte

È Turandot di Giacomo Puccini, a inaugurare il semestre della Scala per Expo. Con buona pace dei sindacati, va in scena il primo maggio, e avrà un parterre tale da oscurare quello delle recenti «Prime» alla Scala. Via subrettine, vippame senza arte né parte, sono attesi - ma confermeranno all'ultimissimo - politici, numeri uno di istituzioni per un'opera con cui Milano espone una delle sue più care eccellenze.

Tutto è nelle mani di Riccardo Chailly, al suo primo progetto scaligero da quando è stato nominato direttore generale (dal 2017 sarà musicale a tutti gli effetti). È stato lui a volere che la prova di stasera fosse aperta agli studenti delle università milanesi, conservatorio, Civica scuola e Accademia della Scala. Un'ora prima d'alzare la bacchetta, Chailly racconterà ai ragazzi l'opera di Puccini rispondendo a eventuali domande, anticipando - così - l'operazione di Discovery che condurrà anche con la Filarmonica della Scala, agli Arcimboldi (l'1 giugno).

Stasera parla agli studenti, martedì è stato nel salotto della Scala (gli Amici della Scala) e giorni fa tra i melomani che fanno del canto una delle ragioni di vita, appunto gli Amici del Loggione. Insomma, copertura e preparazione trasversale per il debutto. Che di fatto è un po' un successo annunciato. Chailly entra in campo con la sua specialità: è un pucciniano votato. Fu lui a firmare la prima mondiale di Turandot con il finale di Luciano Berio, ad Amsterdam, nel 2002. Ovvero la versione che vedremo qui a Milano, secondo l'allestimento che andò in scena per quell'esordio, curato dal regista Nikolaus Lehnhoff. Non c'é la Cina delle favole. La favola di Turandot, la principessa tagliateste che rinnega ogni uomo che le si avvicina, ma infine sarà vinta dall'amore per e di Calaf. Vedremo ministri con bombetta e viso bianco, si sciorineranno coltelli, più Arancia meccanica che favola. Ma un semi happy end c'é: Turandot bacia Calaf, però accanto alla coppia giace il corpo della serva Liu, suicida per amore di Calaf. Il regista ha voluto fortemente che il cadavere di Liù rimanesse visibile, «per dimostrare che si è sacrificata» spiega Lehnhoff. Prima del bacio risolutorio, Turandot si libererà del mantello e copricapo da mantide, umanizzandosi appunto: sorta di metamorfosi kafkiana al contrario. L'opera apre terribilmente, «con un tritono, cioè un diabulus in musica. È subito sbozzato il personaggio di Turandot: disumano e che avrà bisogno di un disgelo», osserva Chailly.

Turandot è l'opera di Expo. Come vive Expo, Chailly, da professionista e da milanese? «Con naturalezza, senza trionfalismi. Sono orgoglioso che tutto questo avvenga a Milano. Expo deve essere punto di partenza per proiettarsi verso il futuro. Ognuno deve dare il meglio di sé: l'impegno è grande». E l'impegno della Scala? «Abbattere, ad esempio, i diaframmi.

Si può fare di più per avvicinare la città. Il pubblico non è sufficientemente integrato col teatro». Scala aperta insomma... La cultura è essenziale per la formazione, Milano ha un grande punto di riferimento proprio nella Scala.

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