Che disastro le ricette dei rivoluzionari

Gli indignados hanno il loro programma economico, sintetizzabile nello slogan "occupiamo Bankitalia". La bozza di programma è contenuta in una lettera inviata a Napolitano. Se applicato, ci porterebbe allo sfascio

Che disastro le ricette dei rivoluzionari

Gli indignados italiani ora hanno il loro programma economico, sintetizzabile nello slogan «occupiamo Bankitalia», in analogia con gli indignados degli Usa, uniti al grido di «occupy Wall Street». La bozza di programma è contenuta in una lettera inviata al presidente Napolitano. Il primo punto che, ove applicato, ci porterebbe allo sfascio, con particolare danno per i giovani, consiste nel rifiuto dei suggerimenti inviati questa estate al governo italiano da Trichet, attuale presidente della Bce, e da Draghi, governatore della Banca d’Italia che a novembre gli subentrerà. Trichet e Draghi presentano le condizioni a cui dobbiamo adempiere, se desideriamo che la Bce ci compri titoli del debito pubblico, sostenendone le quotazioni, come sta facendo. Tali condizioni sono anche quelle dell’Ue, per consentire al Fesf, il Fondo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria, il cui capitale è stato di recente elevato a oltre 400 miliardi di euro, di sostituire la Bce nell’acquisto di titoli degli Stati della zona euro, che si impegnano a mettere in ordine il loro bilancio e a fare politiche di riforma che garantiscano che poi non si ricominci di nuovo a spendere e spandere e a tassare per tappare i buchi, con effetti controproducenti. Gli indignados chiedono al nostro premier di non fare il pareggio del bilancio e di non metterlo nella Costituzione, come egli invece sta facendo. Inoltre propugnano una nuova patrimoniale diretta e indiretta sui patrimoni immobiliari e mobiliari, le rendite finanziarie e le operazioni di compravendita di titoli e di concessione di crediti. Nella recente manovra di finanza pubblica per le rendite finanziarie si è avuto un aumento di aliquota dal 12,5 al 20 per cento e un aumento della tassa di bollo sui portafogli di titoli detenuti dai privati nelle banche. Agli indignados italiani ciò appare solo un antipasto, rispetto al tributo che vorrebbero aggiungere sul valore complessivo dei titoli che le singole famiglie posseggono e a quello sull’acquisto e la vendita di titoli. Nel loro mirino, al solito, ci sono soprattutto gli immobili che le famiglie posseggono, cioè la parte che più si vede e non si presta a essere spostata all’estero, come i titoli detenuti presso le banche. La tesi degli indignados è che bisogna aumentare i diritti delle giovani generazioni senza togliere quelli dei genitori e che quindi bisogna aumentare le spese pubbliche, sia derogando al pareggio, sia tassando il risparmio. Il movimento contiene collettivi studenteschi, ma anche i giovani ormai anziani dei centri sociali, i no Tav e i girotondini, nonché la sinistra ex psiuppina e di Rifondazione comunista. Chi ne paghi i 750 pullman partiti dalle varie città per andare a Roma non si sa. Il segretario dei giovani del Pd, Fausto Raciti, ha dichiarato che i suoi giovani scendono in piazza con gli indignados. Ed è solidale con loro persino Luca Cordero di Montezemolo che con il capitalismo combattuto dagli indignados ha notevole dimestichezza. Del resto fra le richieste di questo movimento c’è la concertazione sindacale nazionale fra imprese e sindacati che, secondo loro, dovrebbe ridurre la disoccupazione al 5 per cento, e che è tutto il contrario dei contratti aziendali decentrati, che sono invece la sola via per attuarla, non con le sovvenzioni e le protezioni pubbliche, ma con l’efficienza e la premiazione del merito. È comprensibile che ci siano dei giovani frustrati dalla difficoltà di trovare lavoro e dai costi delle case. Ma è evidente che le politiche per i giovani sono tutto il contrario di quelle avanzate da questo movimento, che aspira a un mondo di diritti senza doveri.

Se questo è il movimento cui si vuole appoggiare chi spinge per il governo tecnico, è chiaro che quest’ultimo non sarebbe un governo di illuminati, ma di furbi che vogliono spellare la classe media appoggiandosi ai nostalgici del «vogliano tutto» del ’68.

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