Chi balla sui calcinacci della scuola

«Tagli strutturali», titola a tutta pagina l’Unità. Si capisce: la tentazione di cavalcare la tragedia di Rivoli per riaccendere le braci della protesta è troppo forte. Colpa della Gelmini se quel tubo di ghisa è cascato giù? Colpa di Tremonti? Della Finanziaria approvata in nove minuti e mezzo? Del risparmio sulla pelle dei ragazzi? Guardate un po’, quanto bel materiale per ridare fiato alle manifestazioni che languono. C’è un ragazzo di 17 anni morto fra una lezione di latino e una di geometria, c’è il suo compagno di banco che rischia di rimanere paralizzato. C’è la tragedia che precipita lì, feroce e inspiegabile, fra i discorsi sulla Juve, l’hiphop, persino Harry Potter. C’è una bara che sfila fra volti pieni di acne e vita. Che può sperare di meglio un anti-Gelmini? Piovono soffitti, governo ladro. La polemica, in fondo, è già cominciata.
E pazienza se la polemica finirà per seppellire un problema vero in mezzo alle parole false. L’ultimo torto che potremo fare a quel ragazzo. Del resto quante parole abbiamo sentito in questi anni? Era il 1996 quando veniva approvata una norma (legge Masini) che poneva l’edilizia scolastica come una delle questioni «più urgenti da affrontare» per il Paese. Nel 1996, capite? Quella legge non è ancora stata applicata. Prevedeva l’anagrafe degli edifici: mai applicata. E meno male che era una questione urgente...
E quante parole abbiamo sentito nel 2002, dopo il crollo di San Giuliano? Ricordate la commozione? Ricordate le polemiche e le promesse? Di soldi da allora ne sono stati stanziati assai pochi. Colpa della Gelmini? Colpa dei tagli estivi di Tremonti? Siamo seri. Sono passati sei anni. Ed è un miracolo se la tragedia non è successa prima. Lo scorso 2 aprile, per esempio, quando ancora la Gelmini non era ministro, a Milano, zona Monte Stella, è crollato il soffitto della elementare Martin Luther King. Mattoni e calcinacci sui banchi, scolari salvi per un soffio. Il preside si era sfogato con i giornalisti: «Poteva scapparci il morto. Non si può aspettare sempre la strage per intervenire». Il fatto è che in Italia non si interviene neppure dopo la strage.
Di crolli nelle scuole, in effetti, ce ne sono quasi tutti i giorni. A Sassari cadono plafoniera e intonaco di una elementare: feriti quattro scolari. A Falconara (Ancona) cede (per fortuna di notte) il solaio della «Leonardo da Vinci»: 260 bambini restano senz’aula. Viene giù il solaio all’istituto «Giovanni Verga» di Centocelle (Roma), si scoperchia il lucernario al liceo «Dante Alighieri» di Prati (ancora Roma). A Badalucco (Imperia) le elementari vengono chiuse perché inagibili, a Dego (Savona) si corre ai ripari perché la media rischia di accartocciarsi. Crolla il soffitto di una materna di Iglesias in Sardegna, a Trieste viene evacuata una struttura che ospita una media, una materna e una elementare: sospetto cedimento strutturale. È il giro d’Italia dello sfascio, il tour tricolore del degrado, l’unità del Paese cementata dai calcinacci cadenti.
I dati purtroppo confermano l’evidenza empirica della rassegna stampa. Ogni giorno, secondo i dati Inail, nelle scuole italiane si fanno male 240 studenti. Sono circa 90mila in tutto l’anno. Se a questi si aggiungono i circa 12mila fra insegnanti e bidelli si arriva a quota 103mila. Nel 1999 erano 83mila: 20mila in meno. Almeno in qualcosa a scuola si fanno progressi. Del resto come stupirsi? Secondo il rapporto di Legambiente 2008 gli edifici che hanno bisogno di interventi urgenti di manutenzione sono 9.920 su un totale di 42mila. Quasi uno su quattro. Il 95 per cento ha più di 40 anni. A Palermo sarebbero in pericolo-crollo addirittura la metà degli istituti. «La nostra scuola è dedicata a Grazia Delenda», scherzano gli studenti su Internet. «La nostra a Alessandro c’era una Volta». Più che di altri maestri, in realtà, sembra ci sia bisogno di muri maestri.
Aiuto, pericolo caduta classi. Il libro bianco del ministero (settembre 2007, era Prodi) parla di «scuole stalle». Molte, proprio come quella di Rivoli, sono ospitate in edifici «precariamente adattati a uso scolastico». Seminari, conventi, caserme, ex penitenziari. A volte sottoscala di condomini. A Larino il liceo scientifico è ospitato negli edifici della Asl: perfetto, no? Basta non sbagliarsi, fra l’interrogazione di matematica e il pagamento del ticket. Secondo Cittadinanzattiva un istituto su dieci in Italia non ha acqua potabile. In compenso spesso ci sono veleni: in Calabria hanno appena scoperto che usavano materiali tossici per costruire le scuole, ad Andria hanno trovato rifiuti nocivi sotto i pavimenti. A Messina c’è quella che chiamano la «scuola dell’amianto». Il rischio amianto, del resto, è alto in tutta Italia: secondo la Cgil (ricerca del 2005) se ne trovano tracce in 6.769 edifici scolastici (il 16 per cento del totale). A questi va aggiunta una novantina di strutture in cui è stato individuato il radon, un gas nocivo che provoca il cancro ai polmoni.
La situazione è grave. Davvero. Chissà se, per una volta, pensando a un ragazzo morto, riusciamo farla rimanere pure seria. Allora bisognerebbe evitare il solito rito: qualche giorno di polemica, poi il silenzio, poi il nulla. Fino alla prossima tragedia. L’abbiamo visto troppe volte. Dire che la colpa del crollo di Rivoli è della Gelmini è un pessimo inizio, per la verità. E attaccarsi alla tragedia per cercare di mobilitare di nuove le piazze, non è solo un’infamia. Peggio: è un errore. Il vero male della scuola, infatti, è che non riesce a cambiare proprio perché c’è qualcuno che continua a difenderla così com’è, con tutti i suoi sprechi, i suoi privilegi, le sue inefficienze e i suoi muri che crollano. A che serve avere due bidelli per ogni classe, se poi i soffitti vengono giù? E se il 97 per cento del bilancio dell’istruzione viene impiegato per pagare gli stipendi dove si trovano le risorse per riparare tetti cadenti e pavimenti groviera?
A Rivoli avevano appena fatto un controllo, sembrava tutto in ordine. Forse quella tragedia non si sarebbe evitata in nessun modo. Ma se vogliamo che non sia del tutto inutile, conviene evitare l’ennesima gazzarra. E provare a vedere se si riesce a cambiare qualcosa. Con più soldi, certo. Ma non solo. Perché non sempre i soldi bastano: a Napoli, per esempio, negli ultimi anni sono stati spesi 5,5 milioni di euro per l’edilizia scolastica, eppure c’è il record di edifici pericolanti. Come mai? A Sassari è stata costruita una scuola modello: due volte ristrutturata, due volte lasciata cadere a pezzi. I ragazzi non ci sono mai entrati: stanno accanto, in una topaia. Come mai? E all’Aquila c’è un ottimo istituto tecnico, appena costruito, moderno, cablato, certificato Iso 9001-200, che sta per essere smantellato: diventerà un ufficio della Provincia. Come mai? Gli impiegati provinciali devono star comodi e i ragazzi no? Diciamocela tutta: se vogliamo che la tragedia non sia inutile dobbiamo smetterla di difendere una scuola così, che protegge tutti, tranne gli studenti.

Pensata più per offrire stipendi agli adulti che un futuro ai ragazzi. Che si permette il lusso di tre maestri per classe, ma poi li mette con i loro scolari nelle stalle. A guardare il soffitto, sperando che non crolli.

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