"Ci lassssieranno..." Quando Bersani sembra la caricatura di Crozza

A furia di imitare Crozza, Pier Luigi parla solo per metafore: "Non siamo qui a Genova ad asciugare gli scogli"

"Ci lassssieranno..." 
Quando Bersani sembra 
la caricatura di Crozza

Ovazioni e ilarità che pareva di stare a teatro. Oppure davanti alla tv. Comunque a vedere Maurizio Crozza. Dovrà aggiornare il repertorio, il comico genovese. Ma non sarà un lavoro facile e ci sarà da rimpiangere Walter Veltroni, lui almeno oltre il «ma anche» non è andato. Sarà stata l’aria di Genova, ma Pier Luigi Bersani ieri ha superato se stesso. Anzi, ha sssuperato ssse ssstesssso, con tante esse quante gliene consente la lingua fra i denti.

In dialetto genovese si chiama «pessetta», quel modo di strascicar la esse mangiandosela. E la «pessetta» di Bersani, ieri alla prima conferenza del Pd sul Lavoro ha fatto mirabilmente da contorno a un crescendo di automotivazione sfociato in autentica galvanizzazione fra l’incredulità attonita dei presenti. Si aspettavano una roba grigia e un po’ noiosa, e invece altro che Crozza, qui. «Allooooraaaa, non siamo mica qui ad allargare i colli di bottiglia» fa lui nell’imitazione dell’altro. Molto meglio l’altro, nell’imitazione di sé: «Non siamo qui a pettinar le bambole», ha detto ieri, e fin qui. Solo che è andato subito oltre, aggiungendo un capitolo da cult, da pietra miliare dei comizi: «Anzi, visto che siamo a Genova: non è che siamo stati qui ad asciugar gli scogli». Boato, risate, gente in piedi, applausi. Avanti così, dev’essersi detto lui, se son riuscito a scaldare persino quei tiepidi dei genovesi è fatta, se non sarà il vento del Nord sarà lo scirocco, purché sia.

E allora chissenefrega se prima del voto gli era toccato elemosinare un’intervista alla Padania per fare appello ai vertici lumbard, armateci dei vostri voti e partiamo contro Berlusconi. E chissenefrega se poi non è che dalle amministrative il Pd sia uscito proprio bene, visto che i voti li hanno presi Vendola e Di Pietro, lasciando i democratici al palo.

Bersani s’è scordato tutto. Dice: «Ormai siamo il primo partito in questo Paese». Anzi, di più: «Siamo l’unico partito nazionale di questo Paese». Apperò. Ma non basta: «Siamo l’unico partito radicato in ogni luogo, presente in tutte le generazioni, in ogni piazza, nelle feste e nella Rete». Ed è l’ora di finirla anche con questa storia che quelli radicati sono solo i leghisti: «Ci fanno un baffo gli altri, queste mitologie della Lega radicata, dell’altro che è sulla Rete più di noi. Nessuno sta sulle piazze e nella Rete più di noi». Oh. Di nuovo: «Nessuno è sulla Rete come noi, nessuno fa i gazebo e le piazze come noi e nessuno è in grado di organizzare una conferenza sul lavoro come questa». E non importa che poi tutto sia interpretabile al contrario, là dove giusto un Crozza chioserebbe con un: «E per fortuna siete gli unici a far le cose come voi».

Bersani ormai è lanciato. Si lamenta: «Dovè il progetto? è l’altra domanda che fanno solo a noi». Il dubbio che la facciano solo a loro perché sono gli unici a non averlo non lo sfiora. È un crescendo di appelli alla combattività e inviti all’orgoglio, e il tono stentoreo si fa urlo mentre avverte: «Non siamo il partito dei retroscena». Sguardi perplessi in sala, di che parla? Boh, che ti importa non vedi che è come in trans? «...Non siamo il partito del retroscena, siamo il partito della prima fila della scena».

Il tutto, fra ssscena e retrossscena, con più esse di quelle che la sala possa contenere. Il che è un problema, a ben pensarci. Perché quando fa l’ultimo «pronossstico», Bersani dice che «loro lasceranno l’Italia col cappio al collo», e dice una cosa grave. Epperò quel lasssieranno fa ridere tutti.

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