“Tar”, il film di Todd Field presentato all’ultima mostra del cinema di Venezia, è nelle sale e merita la visione per l’eccezionale prova attoriale di Cate Blanchett, protagonista assoluta su cui si reggono le quasi tre ore di girato.
L’opera si apre con la lunga intervista alla compositrice Lydia Tar (Cate Blanchett), prima donna a dirigere l’Orchestra Filarmonica di Berlino. Una sequenza introduttiva ci dice tutto della Tar professionista e del fatto che sia una sorta di brand culturale internazionale: dopo la vittoria di un Emmy, un Grammy, un Oscar e un Tony Award, la donna si è consacrata ai vertici sia nella cultura d’élite della musica classica sia nella cultura di massa delle colonne sonore. Figura femminile potente in un settore tradizionalmente maschile, è austera e venerata dall’opinione pubblica, per la quale è un’icona femminista in quanto lavoratrice, lesbica e mamma.
Da idolo a vittima sacrificale
Tutto cambia nel momento in cui emergono passi falsi e voci di molestie che la trasformeranno a poco a poco in vittima sacrificale della stessa società che l’aveva idolatrata.
La prima parte del film ritrae la protagonista tra talk show, lezioni accademiche e prove orchestrali, mostrando anche scorci di privato in cui la vediamo interagire con la fedele assistente (Noémie Merlant) e con la fidanzata e prima violinista (Nina Hoss). La seconda invece si concentra sul collasso dell’immagine di questo genio della musica e direttore d’orchestra pluripremiato, raccontando come le gogne social abbiano reso fragili anche i piedistalli più autorevoli.
In itinere lo spettatore scopre che dietro alla maschera di una personalità istrionica e dedita alla dimensione lavorativa, c’è una persona che il potere ha trasformato in una meschina predatrice sempre pronta ad autoassolvere se stessa.
La natura egoista e opportunista, ben celata durante l’ascesa professionale, è la stessa che rende Lydia capace di sfruttare la sua posizione in modo scorretto. Solo quando il precipitare degli eventi e il sopraggiungere di nervosismo e paranoia mandano in cortocircuito la sua bussola interiore, la donna si rivela per quella che è sempre stata dietro l’immagine di irreprensibilità e sicurezza.
Tra Metoo e corruzione del potere
Da un lato Lydia Tar è il personaggio immaginario perfetto per declinare al femminile il carnefice cui siamo abituati quando parliamo di #Metoo, dall’altro è l’emblema di come il potere corrompa al di là del genere sessuale di appartenenza.
Come anticipato, “Tar” dura 157 minuti e, pur non trascinandosi per un solo secondo, è probabile sia una durata proibitiva per il grande pubblico. Cate Blanchett è qui magnetica e carismatica come non mai, alle prese con una performance volutamente un po’ teatrale: del resto è Lydia Tar per prima a recitare nella propria vita la parte fittizia dell’essere umano impavido ed integerrimo.
“Tar” è a tratti un thriller psicologico sulle rischiose conseguenze di quelle che sono dinamiche ambigue all’interno di relazioni intime.
C’è posto però anche per varie altre tematiche di stretta attualità, laddove il film si sofferma sul rapporto tra arte e artista, accenna alla cancel culture e imbastisce un ragionamento su come nella società contemporanea il politicamente corretto sia brandito come
un’arma.Malgrado in alcuni momenti appaia confuso e imperfetto, “Tar” resterà come l’efficace ritratto di una nefasta parità di genere, relativa alla tendenza abusante di chi occupa posizioni di leadership.
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