Una sbruffonata, certo. Il disperato tentativo di rimettersi al centro dei giochi da parte di un leader in difficoltà, non c’è dubbio. Ma la sparata di Veltroni l’altra sera a Porta a porta («Alitalia l’ho salvata io») non è stato solo questo. S’è trattato di una confessione in piena regola: le impronte digitali sulla prova regina di un «tentativo di omicidio» della compagnia di bandiera perpetrato con la complicità di Epifani. Che cosa ha detto, infatti, il segretario del Pd per giustificare l’inverosimile appropriazione indebita? «Ho fatto incontrare Epifani e Colaninno». Traduzione: ho detto al segretario della Cgil, al quale avevo ordinato di far saltare il banco, di ingranare la retromarcia e firmare l’intesa.
Il che dimostra due cose. Primo: la pretesa di rappresentare una novità, un elemento di rottura nel panorama politico, che da mesi Veltroni va sbandierando ai quattro venti, è solo fumo negli occhi. Appena messo alla prova, non ha esitato a comportarsi come qualsiasi segretario comunista o diessino, utilizzando in modo spregiudicato la Cgil allo scopo di boicottare la cordata messa in piedi da Berlusconi per salvare Alitalia e rinunciando al cinico proposito solo quando si è accorto di essere isolato persino nel suo stesso partito. Non proprio un comportamento da statista.
Secondo: Epifani si è prestato al disegno, riducendo per l’ennesima volta il sindacato a cinghia di trasmissione dei voleri del partito di riferimento e mettendo a repentaglio 20mila posti di lavoro per una manovra politica da profonda Prima Repubblica. Come facciano gli iscritti alla Cgil a farsi rappresentare ancora da gente che tiene in così poco conto i veri interessi dei lavoratori è, in fin dei conti, affar loro. Come si possano affrontare le prossime vertenze, dalla riforma della scuola a quella dei contratti nazionali, avendo Epifani come interlocutore è invece un problema che ci riguarda tutti.
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