Per chi dovesse rinunciare al pensionamento pur avendo maturato i requisiti per lasciare il mondo del lavoro con Quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi) è previsto un incremento di stipendio. Questo, come stabilito dalla legge di Bilancio 2023, sarà infatti più consistente poiché in esso confluirà la quota di contributi che si sarebbe altrimenti dovuta versare all'Inps. Una soluzione simile a quella introdotta nel 2004 dall'allora ministro del Welfare Roberto Maroni con lo scopo di ridurre, nelle uscite dello Stato, la voce relativa alla spesa pensionistica. Stesso obiettivo che l'attuale governo persegue: ecco perché è tornata in auge una misura già adottata nel triennio 2004/2007.
Di cosa si tratta
Negli anni in cui, pur avendo i requisiti per accedere al pensionamento, il contribuente proseguirà la sua strada nel mondo del lavoro, potrà beneficiare di un forte taglio del cuneo fiscale: in questo periodo, infatti, tutti i contributi previsti sia per il dipendente che per il datore di lavoro saranno erogati direttamente in busta paga e non più versati all'Inps. Ciò significa che a fronte di un lordo identico, cosa che permetterà di non gravare ulteriormente sull'azienda, il netto percepito avrà un incremento.
Come accedervi
L'accesso al nuovo "bonus Maroni" non avverrà in modo automatico. Sarà infatti il dipendente a decidere se incrementare i propri contributi per avere un assegno pensionistico più "pesante" o se attivare questa nuova possibilità, congelando di fatto l'importo della pensione per beneficiare di una busta paga più consistente grazie alle decontribuzioni. La scelta di una delle due opzioni, ovviamente, esclude l'altra: continuando a lavorare e non versando i contributi, bensì fruendoli in busta paga, ovviamente non si investirà sull'irrobustimento dell'assegno pensionistico.
Come anticipato l'opzione sarà attivabile per tutti i lavoratori che rientrano nei parametri previsti da Quota 103, ovvero un minimo di 62 anni di età e di 41 anni di contributi.
Quali aumenti
Durante la conferenza stampa che annunciava il ritorno al "bonus Maroni", Giorgetti e Salvini avevano parlato di un incremento dello stipendio pari al 10%. In realtà l'aumento potrebbe essere più consistente, se la bozza venisse confermata così com'è.
I lavoratori interessati al bonus dovranno "rinunciare all'accredito contributivo relativo all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti e alle forme sostitutive della medesima", si legge nella bozza. "In conseguenza dell'esercizio della predetta facoltà viene meno ogni obbligo di versamento contributivo da parte del datore di lavoro a tali forme assicurative, a decorrere dalla prima scadenza utile per il pensionamento prevista dalla normativa vigente e successiva alla data dell'esercizio della predetta facoltà", prosegue la nota. "Con la medesima decorrenza, la somma corrispondente alla contribuzione che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare all'ente previdenziale, qualora non fosse stata esercitata la predetta facoltà, è corrisposta interamente al lavoratore".
Se così fosse, tutti i contributi versati dal datore di lavoro per conto del proprio dipendente confluirebbero direttamente in busta paga. Almeno così risulta dall'interpretazione che si può dare al testo della bozza, la quale è perfettamente sovrapponibile proprio al già citato bonus Maroni. Concretamente, per un lavoratore dipendente, significherebbe incrementare il proprio stipendio del 33%: con un lordo di 2.500 euro ciò si tradurrebbe con un incremento di ben 825 euro al mese, sui quali va comunque versata l'Irpef.
Resta da comprendere, con la versione definitiva della manovra, che peso avrà quel "10%" di aumento dichiarato da Giorgetti e Salvini rispetto ai calcoli che si possono fare basandosi esclusivamente sul testo diffuso dall'esecutivo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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