Clemente offre la cena a Manzione ma il ribelle chiama in causa Prodi

Il Guardasigilli prova a ricucire in un ristorante, ma il senatore non molla: "Mi chiamerà Romano..."

Clemente offre la cena a Manzione ma il ribelle chiama in causa Prodi

Roma - L’uomo che da ieri mattina tiene sul filo del rasoio la maggioranza al Senato, ha compiuto 54 anni il 2 giugno, è alto 1,87 e ha gli occhi grigi, un portamento accattivante pur se aggravato da qualche chilo di troppo, sorride facilmente e non si nega. Una prima tranche del prezzo (politico, s’intende) della sua sfida l’ha incassata ieri sera, con un tête-à-tête in un ristorante del centro col Guardasigilli. «Siede a cinque metri da me in aula, possibile che non riusciamo a parlarci? Chiedo un colloquio a sua eccellenza il ministro», aveva invocato pubblicamente. L’altro, sua eccellenza, signorilmente non s’è fatto pregare più di tanto: «Se me lo chiede lui, volentieri. In fin dei conti, l’amicizia e la stima non sono mai venute meno». Sììì... è dal 2001 che tra i due non c’era più un vero colloquio. Così ieri sera la ferita s’è definitivamente sanata, perché prima di andare a cena i due han finalmente parlato, «solo dell’emendamento, però». Ma appunto, trattasi della prima tranche.

Necessaria, ma insufficiente ancora, per far ritirare quell’emendamento «dei due avvocati» in calendario oggi come una bomba ad orologeria, capace di mandare a gambe all’aria il governo. Lui, il senatore beneventano che improvvisamente ha occupato la scena di Palazzo Madama, ancora ieri sera teneva il punto con orgoglio, difendeva il suo emendamento. Ma non è soddisfatto del chiarimento con Mastella? «Sì, ma non basta» rispondeva. Vuol davvero provocare un terremoto? Non è solo Mastella che minaccia le dimissioni se passa il suo emendamento, anche Di Pietro dice che non farà votare la legge. «Con un colpo, ne farei cadere due?» scherzava. Lo sa vero, che rischia di far cadere il governo? «Io non ho una formazione democristiana, e sono un po’ di coccio» sorrideva. Ma insomma, che cosa vuole ancora, per ritirare questo suo deflagrante emendamento? Ci ha pensato un poco, prima di rispondere: «E poi, mi chiamerà Prodi, penso. Se mi convince anche lui...». Questi è Roberto Manzione. Avvocato cassazionista a Salerno, si dice fortunato «perché ho una splendida moglie che è pure ottimo avvocato» e ora manda avanti lo studio.

Ambedue al secondo matrimonio, tre figli in tutto, Giorgio 11 anni, Mauro 21, Mirko 26, «tre pesti in famiglia» sorride con orgoglio paterno. Passione per calcio e tennis, si picca di essere un ottimo cuoco, l’estate sempre a Palinuro dove la moglie ha una casa. Politicamente, nasce repubblicano: era consigliere comunale del Pri. Conosce Mastella dopo la tempesta di Tangentopoli, e diventa capogruppo del «Ccd-Sinistra liberale» alla Provincia. Nel ’96, quando Mastella stava ancora con Casini nel centrodestra, Manzione diventa deputato. Resta con Mastella anche quando se ne vanno Totò Cardinale, Enzo Carra e Agazio Loiero. Ma la rottura tra i due si registra nel 2001, quando Mastella abbandona la federazione della Margherita e Manzione non lo segue. Da allora, il rapporto «è di odio e amore», dice. Ottimi rapporti con Willer Bordon e Arturo Parisi, buoni con Romano Prodi, discreti con Lamberto Dini. Ce l’ha col Partito democratico da sinistra, «perché è diventato un ricettacolo di una oligarchia che decide tutto e finge di chiedere poi alla gente».

La realtà ora, è che se Prodi chiede, Manzione dirà obbedisco e almeno per oggi il governo sarà salvo. Vi siete domandati come mai il subemendamento di ieri mattina, oltre a quelli della Cdl, ha avuto il voto di Bordon e Roberto Barbieri, i super ulivisti che come Manzione (e Parisi ovviamente) rifiutano questo Partito democratico e ancor più la leadership veltroniana? Se Prodi dà un riconoscimento politico a questo «pacchetto di mischia» che nella Margherita resiste alle lusinghe veltroniane, ne guadagna anche lui. Dunque, è probabile che Manzione incasserà anche la seconda tranche. Questa è una delle partite che si giocano sotto gli emendamenti, i subemendamenti e gli articoli della legge di riforma della riforma Castelli. C’è anche quella dei senatori avvocati e dei senatori ex magistrati, che non sempre coincide con quelle dei loro colleghi in attività.

E c’è pure quella della rincorsa tra Mastella e Di Pietro, che sinora vede prevalere il leader di Ceppaloni. Il quale si lascia andare a una confidenza: «Ma lo hai capito o no, che l’unico che qui può far saltare tutto sono io? Tutti gli altri,se la fanno addosso».

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