Cobolli, un gentleman sul ring tra ideali, gaffe e smentite

Vero, l’inizio non fu esaltante. Che pensare, infatti, di un signore dal colletto inamidato e dallo charme antico, juventino doc ovviamente, che te la raccontava così: «Il nostro obbiettivo è essere trasparenti, vincenti e simpatici». Quando tutti sanno che per essere vincenti, soprattutto in Italia, non si può essere trasparenti e simpatici. Veniva perfin da dubitare circa la sua juventinità doc. Ma no! Giovanni Cobolli Gigli rifletteva ad alta voce su se stesso e questo gli juventini non lo hanno capito subito.
C’era da domare un popolo imbelvito dalla retrocessione, da calciopoli e da quel rotolare giù, nel fango calcistico. Poteva bastare una così vaporosa dichiarazione d’intenti? I blog juventini si scatenarono e Cobolli Gigli dovette adeguarsi fin a replicare l’idea dell’uomo sul predellino. Scamiciato, lo ha ricordato ieri salutando tutti, in una calda mattina di quell’agosto 2006, impugnò il megafono e dominando il popolo suo, dai gradini-predellini, cominciò ad arringare le colleriche truppe bianconere. Nuova vita! Nuovo corso! Rivoluzione e redenzione! Evvai che è arrivato Sandokan! Non era finzione filmica, solo l’idea di un film con il protagonista sbagliato.
Beh, certo, un brusco cambio di vita per un signore allevato alla Bocconi di Milano, abituato a consigli d’amministrazione tra fumo e fumi, incarichi di prestigio, grandi aziende da gestire e risanare o dismettere tra lacrime e sangue. Ma quello che intrigava di Cobolli Gigli (intrigava noi suiveurs di sport nobili) era quel conoscere davvero il ring, non solo il ring della vita. Il Vigorelli e la palestra Ravasio, l’Ignis del commendator Giovanni Borghi sono stati poli di riferimento della boxe milanese degli anni d’oro. E Cobolli Gigli ci si è ficcato in mezzo, respirando i sapori acri della palestra pugilistica e provando l’asprezza dei pugni in faccia. Uno così è un lottatore ma con i tratti del gentleman, perché la boxe non si è mai negata la civetteria di farsi chiamare noble art. Sì, insomma, in questo retroterra sportivo è spiegata quella frase così sconsiderata che scatenò i randellatori del tifo. A cui si aggiunsero altre critiche. Per esempio, quella di non aver mai dichiarato quanti scudetti abbia vinto la Juve.
Ed oggi, che il presidente è un altro e Cobolli è rimasto un tifoso senza poltrona, forse il gentleman potrebbe rivedere qualche concetto. Avvicendamento in stile vecchia Juve: ti sorrido e ti siluro. Però con classe, perchè Cobolli non ha interrotto il suo mandato. Soltanto non gli è stato più rinnovato. Ora, sulla Juve della resurrezione, si potrà discutere all’infinito, enumerando gli errori e le buone cose. Errori di mercato che si sono riflessi su squadra e risultati. Cose buone scandite in un progressivo miglioramento: a livello dirigenziale, tecnico, e nei risultati. Cobolli Gigli è stato attore, più che operatore. Il segnale del suo “conto e non conto” lo davano le dichiarazioni. Quel dire eppoi contraddirsi, che non è mai un bel segnale. Parlava Cobolli e smentiva Gigli o viceversa. Ci metteva la faccia, non sempre le decisioni. Ma è il destino dei presidenti di facciata. Capitava anche a Facchetti, uno di quelli che rischiò di causare un incidente diplomatico fra il presidente e i tifosi. Lui, con beata ingenuità, a dire: «Dobbiamo rifarci ai valori di Facchetti». E i tifosi a replicargli: «Ma sai di chi stai parlando?». Touchè!
Cobolli Gigli ha capito, anche a spese sue, che era troppo difficile gestire con signorilità ogni rapporto e portare lo spirito del gentleman in un mondo che si nutre di Cellino e Zamparini, di Spinelli e Preziosi, tutti gentlemen a modo loro. Senza contare certi altri personaggi dietro le quinte o sulla poltrona accanto.


E ieri, quando ha citato «l’innominabile serie B» e ricordato che conta il futuro, è parso perfin autolesionistico nel suo commosso aplomb. Cobolli ha dato ragione ai dirigenti che lo hanno silurato e Gigli si è rifatto al suo passato.

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