Una coltellata subita con diplomazia

André François-Poncet, politico e diplomatico francese di lungo corso, fu ambasciatore a Roma dall’ottobre del 1938 al 10 giugno del ’40, quando il ministro degli esteri Galeazzo Ciano gli notificò l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania. Le sue memorie (A Palazzo Farnese, Le Lettere, pagg. 144, euro 16) hanno dunque molto interesse. Il saggio si giova d’una prefazione di Jean François-Poncet, figlio dell’ambasciatore, e d’una illuminante introduzione di Maurizio Serra.
André François-Poncet aveva chiesto d’essere trasferito alla sede di Palazzo Farnese dopo essere stato per alcuni anni ambasciatore a Berlino. Sperava di sottrarsi così all’incubo delle croci uncinate, e di operare, a Roma, per evitare che il Duce si accodasse alla nibelungica follia del Führer. Da questo punto di vista la missione fu un fallimento. Inebriato dalla travolgente avanzata tedesca in Francia, smanioso di non essere emarginato, inconsapevole di quali fossero le vere forze in campo e di quanto potessero pesare gli Stati Uniti, Mussolini gettò l’Italia nella fornace.
Alle 16,30 di quel fatidico 10 giugno l’ambasciatore fu convocato a Palazzo Chigi, allora sede degli Esteri. «Ciano mi accoglie in piedi, in uniforme da comandante dell’aviazione. Sembra particolarmente a disagio, in imbarazzo. “Sapete già di cosa si tratta”. Gli rispondo che non c’è bisogno d’essere un genio per capirlo. \ Ciano allora mi comunica ufficialmente, in nome del re, la dichiarazione di guerra. “E così avete aspettato di vederci in ginocchio per accoltellarci alle spalle” esclamò. “Fossi in voi non ne sarei tanto fiero!”. Ciano arrossisce. “Caro Poncet, tutto questo non durerà molto. Presto ci rincontreremo al tavolo delle trattative”. “Purché non vi facciate ammazzare!”».
La versione che del colloquio dà l’ambasciatore corrisponde a quella d’altre fonti, in particolare alla versione dello stesso Ciano. Il famigerato colpo di pugnale di Mussolini a una Francia agonizzante. Tuttavia, nota Serra, le versioni divergono su un punto. André François-Poncet parla di una pugnalata «dans le dos», nella schiena, Ciano parla d’una pugnalata «ad un uomo in terra». La prima versione esprime l’idea del tradimento, la seconda quella dell’attacco vile a un nemico prostrato. Serra dedica ampio rilievo a questa diversità. Confesso di non vederne l’importanza. Le circostanze in cui l’Italia decise le ostilità e l’offensiva sul Fronte occidentale che la portò alla conquista di Mentone sono fin troppo note. Il Duce passò dalla non belligeranza alla belligeranza perché i tedeschi stavano per prendere Parigi, e pareva che non dovessero più trovare ostacoli. Tuttavia, nel discorso di Piazza Venezia, ebbe la sfrontatezza di non fare riferimento alla blitzkrieg tedesca, e lo stesso Ciano, esortato da François-Poncet a spiegare il perché della guerra, rispose: «È a causa degli impegni che ci siamo assunti». Ma prima che i tedeschi sfondassero quegli impegni erano rimasti in naftalina.
André François-Poncet era stato affascinato da Ciano. All’intelligente genero del Duce - la cui amoralità e superficialità si manifestò nell’azione in favore della disastrosa campagna di Grecia - dedica righe entusiastiche. «Ciano è un ministro degli Esteri all’altezza delle sue funzioni. Ha fatto una buona gavetta superando con successo gli esami che comporta in Italia la carriera diplomatica.

Attivo, sempre presente sul posto di lavoro, puntuale e metodico nei suoi impegni, studia con attenzione gli incartamenti e ne ha piena padronanza. Nelle udienze che concede ai capi di missione fa un’ottima figura». Tra l’ambasciatore e il ministro l’«entente» era «cordiale».

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