Il commento / Non c’è sport senza trucco, da sempre

Indignazione tanta, ma per favore sorpresa poca. Evitiamoci di cadere dal pero, quasi che improvvisamente nel nostro mondo incantato di eroi integerrimi si fosse subdolamente infiltrato un demone fetente. Non è così. Non è da oggi e non è neppure da ieri che va così: il trucco è tutto fuorchè un fatto nuovo, arrivato sulla terra con l’evoluzione della specie. Il trucco nasce esattamente nel momento in cui nasce il gioco. O forse faremmo prima a dire nel momento in cui nasce l'uomo.

Quasi per uno strano sarcasmo della storia, proprio fra due giorni, il 5 giugno, ricorre l’anniversario del famoso caso Allemandi. Nel ’27, il terzino della Juve accettò 50mila lire dai dirigenti del Torino per aiutare i granata a vincere un derby decisivo, che ai Gobbi importava poco e che al Toro portava lo scudetto. Quando il podestà fascista di Bologna, la città che era in lotta col Torino per il tricolore, apprese la faccenda da un'inchiesta giornalistica, avviò subito una spietata inchiesta che portò alla revoca di quello scudetto e alla radiazione del disponibilissimo terzino.

È una storia nella storia di questo calcio eternamente inquinato, niente di più, ma conferma come il tarlo dell’imbroglio non possa passare da novità choccante. Suona molto ingenuo, adesso, scandalizzarci per i nomi coinvolti in quest’ultimo verminaio. Ma no, Signori?!? Ma dai, pure Doni?!? Purtroppo abbiamo imparato fin da piccoli che tutti sono campioni, tutte sono sante persone, ma nessuno a prescindere sta al di sopra di ogni sospetto. Bisogna andarci molto cauti, nell’elevare il mito sull’altarino. Mai mettere la mano sul fuoco per nessuno. È una buona precauzione. Nell’80 molti di noi erano ragazzi, quasi tutti si esaltarono per il centravanti senza fisico e senza talento che però la buttava sempre dentro, un tizio dal cognome talmente comune da sembrare un italiano perfetto: Paolo Rossi. Un giorno ce lo ritrovammo in televisione con lo sguardo basso e l’aria fortemente imbarazzata. Sfilava assieme a tanti suoi colleghi per rendere conto di uno strano giro. Imparammo un neologismo che non sarebbe mai più caduto in disuso: totoscommesse. Ma no, Paolo Rossi?!? Anche allora il mito finì in cocci, anche allora nessuno voleva crederci. Proprio lui. E pazienza se due anni dopo Bearzot l’avrebbe riabilitato in azzurro, restituendocelo più forte e più popolare di prima. Tutti noi di quella generazione imparammo che il campione è solo un campione, non necessariamente un incorruttibile san Francesco.

I nostri nonni, i nostri padri, adesso i nostri figli: tutti si sono ritrovati un giorno con l’icona nella polvere. Ad ogni era sportiva la sua disillusione. Eppure ogni volta si ricomincia da capo con lo choc e con la sorpresa. Ma quale choc, ma quale sorpresa. Gioco e trucco vivono in simbiosi da un’eternità e sono ancora così avvinghiati da avviarsi felicemente verso la prossima eternità. Dorando Pietri è un mito secolare, ma sulla sua storica caduta a pochi metri dal traguardo, nei Giochi di Londra 1908, pesa in modo decisivo non tanto la fatica, quanto una potente dose di stricnina, doping primordiale dell'epoca. Si sono dopati Ben Johnson e una moltitudine di ciclisti. Si sono dopati pesisti e fondisti, tennisti e calciatori. Si sono dopati tiratori con l’arco e persino atleti handicappati. E se non è doping, è qualcosa di simile. Come al mercato del pesce, si compra e si vende di tutto, dai match di pugilato ai gran premi d’auto, dai tornei di briscola alle corse dei cavalli. Sullo sfondo, sempre, l’irrinunciabile richiamo di quella sirena sgualdrina che è la scommessa, diabolicamente e magistralmente gestita dai creativi della criminalità organizzata. Da quando si gioca, l’imbroglio ci imbroglia e ci disillude: dovremmo stupirci proprio adesso?

È molto puerile pensare ogni volta che sia la fine. Non bisogna darla vinta a questa brava gente, non finisce proprio nulla. Se mai, il vero problema non sono gli squallidi taroccatori del gioco, ma chi dovrebbe controllarli, perseguirli, punirli, allontanarli. Spesso sono venduti pure loro, arbitri e giudici, inquirenti e alti dirigenti. Truccano persino i giochi loro, la corsa e la conta elettorale, l'assegnazione di olimpiadi e mondiali.

E allora è molto difficile pensare al trionfo del bene sul male, una volta per tutte. Ma come, proprio nello sport? Certo che sì, proprio nello sport. Perché lo sport è fatto dagli uomini. C’è un motivo per cui lo sport dovrebbe essere diverso dalla vita?

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