Comuni: Napoli, Salerno, Palermo e Catania nella top 10 delle «città spendaccione»

Una ricerca del centro studi Sintesi di Mestre: su 7.750 municipi italiani, 446 sforano di oltre il 30% della media nazionale delle uscite correnti pur incassando meno del 70% della media nazionale delle imposte dirette Ma i numeri non dicono tutto

Su 7.750 Comuni italiani 446 hanno i conti fortemente in disordine e, cosa assai più grave, ben capoluoghi di Regione - Napoli, Palermo, Cagliari e Potenza - si trovano in una situazione di allarme bilancio. Nella stessa condizione di altri sette capoluoghi di Provincia: Catania, Salerno, Cosenza, Lecce, Nuoro, Oristano e Lanusei.
Ecco in estrema sintesi i risultati dell'ultimo monitoraggio effettuato sugli esercizi contabili dei municipi italiani dal centro studi Sintesi di Mestre, che da anni tiene d'occhio con indagini quantitative e qualitative l'evoluzione dell'economia e della società del nostro Paese. I ricercatori che si sono concentrati sui conti dei Comuni italiani, hanno focalizzato la loro attenzione sulla capacità fiscale (misurata sull'imponibile Irpef pro capite) e sulla spesa corrente (in rapporto agli abitanti) dei municipi e hanno diviso gli Enti locali presi in esame, 7.750 su 8.094, in quattro categorie ottenute incrociando le due variabili cruciali delle entrate tributarie e delle uscite ordinarie: quelli con redditi alti e spesa bassa, quelli con redditi alti e spesa alta, quelli con redditi bassi e spesa bassa e infine quelli con redditi bassi e spesa alta.
Nell'ultima categoria, quella finanziariamente meno virtuosa, ricadono gli undici capoluoghi elencati sopra e numerosi Comuni concentrati in Sardegna, Sicilia e Molise, le tre Regioni dove i «Comuni cicala» sono oltre uno su cinque: rispettivamente quasi il 43%, oltre il 29% e quasi il 25%. Nella prima categoria, quella più oculata, rientrano invece la stragrande maggioranza dei municipi di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Nelle tre regioni, infatti, i Comuni caratterizzati dalla finanza allegra sono vere e proprie mosche bianche. Nelle due categorie intermedie, quelle nelle quali le amministrazioni «calibrano» le uscite ordinarie sulla base delle entrate fiscali si trovano Friuli-Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Liguria e Toscana (redditi alti e spesa alta) e Campania, Puglia, Basilicata e Calabria (redditi bassi e spesa bassa). Le regioni più vicine alla media nazionale per entrambi i parametri sono Umbria e Marche mentre Lazio e Abruzzo sono sotto la media, non di molto, per quanto riguarda le entrate ma sono in linea per quanto concerne la spesa. Il Piemonte, invece, è in linea con le uscite ma è sopra la media nel reddito.
In particolare, nella graduatoria dei «capoluogo formica» occupano posizioni di rilievo Biella, Vercelli, Novara, Cuneo, Varese, Sondrio, Bergamo, Cremona, Piacenza, Reggio Emilia, Ferrara, Verona, Vicenza, Padova, Treviso e Belluno. Oltre che alcune rare eccezioni fuori dalle regioni virtuose fra le quali spicca Roma.
Premesso che un Comune ha il dovere di tenere i conti in ordine anche se non è un'azienda, che insegnamenti trarre da questa ricerca?
Innanzitutto che i numeri da soli dicono ben poco a chi ha la possibilità di conoscere solo quelli. Ma corredando con i numeri del «profondo rosso» o quelli di un bilancio in equilibrio le informazioni che ciascuno di noi ha, per esperienza diretta o attraverso i media, si può giudicare anche la qualità degli amministratori.
Due esempi per tutti. Napoli e Varese. L'ex capitale del Regno delle Due Sicilie è alle prese da decenni con la cosiddetta emergenza rifiuti, questione che tocca da vicino una competenza diretta, quella dello smaltimento dell'immondizia, del Comune. Ebbene, il municipio napoletano, che pure spende molto, non appare in grado di risolvere un problema che si ripercuote pesantemente sulla qualità della vita degli abitanti e sull'immagine internazionale della città.
La cittadina della Lombardia nordoccidentale, invece, soffre da anni di un traffico automobilistico spropositato rispetto alle sue strade, in particolare quelle che si avvicinano al centro storico.

Un traffico che complica la qualità della vita dei varesini e nei giorni feriali ostacola notevolmente la «fruizione» della città da parte dei pendolari e degli abitanti della Provincia. Se il Comune di Varese spendesse qualcosa in più per «governare» il traffico automobilistico è logico aspettarsi che ben pochi dei suoi cittadini-elettori se ne scandalizzerebbero.

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