Comuni secessionisti, al via 10 referendum

I Comuni «secessionisti» del Nord fanno un passo indietro: noi vorremmo restare nelle nostre Regioni. Ma arretrano per prendere più rincorsa: siccome non vogliamo morire né fare i gabellieri al posto di un governo che ci lascia l’onore di aumentare le tasse, lanciamo una raffica di referendum.
Ricapitolando. I Comuni piemontesi, lombardi e veneti che confinano con Valle d’Aosta, Trentino, Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia sono infuriati per il taglio del 70% (da 91 a 22 milioni) del Fondo di solidarietà per le aree disagiate e depresse. Per dare visibilità alla loro protesta e per illustrare le loro richieste si sono riuniti ieri a Milano e minacciano di cambiare le carte geografiche del Nord usando quei referendum popolari che consentono ai Comuni di staccarsi da una Provincia per unirsi a un’altra, anche cambiando Regione. Ceresole Reale e Locana (Torino), Valfurva (Sondrio), Breno, Ceto e Limone (Brescia), Fregona e Sarmede (Treviso) e Canale d’Agordo, Castellavazzo e Falcade (Belluno) avviano la procedura per la secessione dalle rispettive Province e Regioni. E un’altra decina scalda i motori per iniziare l’iter fra un mese, in mancanza di risposte da parte del governo.
Le ragioni della protesta erano state in buona parte anticipate nei giorni scorsi anche attraverso il Giornale da Marco Scalvini, ex sindaco di Bagolino (in Provincia di Brescia e limitrofo a quella di Trento) e ora instancabile presidente dell’Asscomiconf, l’associazione che riunisce i 545 Comuni che confinano con le Regioni a statuto speciale, le Province autonome e la Svizzera. «Con i nostri due milioni di abitanti - dice Scalvini - siamo la provincia più popolosa del Nord. I nostri prodotti gastronomici e le nostre attrattive turistiche rappresentano, e bene, l’Italia nel mondo. Ma i nostri paesi si stanno spopolando perché i residenti preferiscono trasferirsi a pochi chilometri al di là dei confini regionali, dove i servizi pubblici sono più efficienti, meno costosi e a volte addirittura gratuiti e dove godono di sovvenzioni a fondo perduto, borse di studio e sconti fiscali che noi non possiamo garantire».
Insomma: aziende medie e piccole, artigiani, partite Iva, giovani coppie, famiglie con figli che studiano alle superiori prendono armi e bagagli e si trasferiscono da Bagolino a Storo (Trento), da Ceresole Reale (Torino) in Valle d’Aosta, da Falcade (Belluno) a Moena (Trento) eccetera eccetera. Problemi analoghi hanno i «dormitori» che confinano con la Svizzera: Dumenza (Varese), Pino sulla Sponda del Lago Maggiore (sempre Varese), Tirano (Sondrio) e così via. «Il taglio al Fondo di solidarietà - continua Scalvini - sottrae 85 euro a ciascuno dei nostri residenti. Se le tasche degli altri italiani sono risparmiate, quel taglio è ingiusto».


E per fermare l’emigrazione che li sta spopolando i Comuni «secessionisti» chiedono: il ripristino del Fondo a 91 milioni; ammissione al Fondo dei Comuni di seconda fascia (quelli che confinano coi Comuni di confine); il rifinanziamento della cosiddetta norma anti-secessione voluta da Roberto Maroni (che prevedeva uno stanziamento a favore dei comuni di confine lombardi e veneti pari a 30 euro per abitante); un aiuto ai Comuni che si trovano lungo la frontiera con la Svizzera.

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