Confindustria porta a galla il sommerso

Le stime degli industriali fissano il peso dell’economia-ombra al 20% del Pil, oltre le statistiche ufficiali. Così l’evasione balza a 165 miliardi: un fenomeno legato non solo all’elevata fiscalità ma anche alla farraginosità di burocrazia e giustizia

La Confindustria ha accolto, evidentemente, le nostre stime sull’economia sommersa e ora comunica che, secondo le sue valutazioni, nel 2009, l’economia sommersa è aumentata e ha oltrepassato il 20% del Prodotto interno lordo, il Pil. Ciò mentre l’Istat, come avevamo scritto martedì, ne stima il peso per tale anno attorno al 16,3-17%. La nostra stima del 22% del Pil per il 2009 era basata sui calcoli del professor Schneider. La Confindustria adesso non si discosta molto da questa valutazione, in quanto la valuta attorno al 21%. Si tratta di una differenza di quasi 80 miliardi di economia sommersa in più di quella valutata dall’Istat, pari a 5 punti circa di Pil.
Questo nuovo calcolo comporta una revisione in aumento del calcolo dell’evasione fiscale, effettuato dall’ufficio studi della Confindustria, rispetto al dato complessivo che essa aveva fornito in giugno di 125 miliardi, pari a 7,8 punti di Pil. Ora essa viene valutata a circa 165 miliardi, pari a circa 10,3 punti di Pil. Sui contribuenti dell’economia emersa che pagano le imposte, la pressione fiscale, secondo la Confindustria, nelle stime di giugno, era il 51% del rispettivo Pil. Adesso con le nuove stime la pressione fiscale sull’economia emersa sale al 54%, una cifra enorme, che aiuta a spiegare come mai, in Italia, sia così faticoso produrre, lavorare, risparmiare, per chi paga regolarmente le tasse.
Ma questo enorme dato di pressione fiscale, a cui non corrispondono servizi pubblici di pari entità, spiega anche come mai ci sia così tanta economia sommersa. È come il gatto che si morde la coda. La fiscalità molto elevata, insieme a regolamentazioni ossessive, applicate da una burocrazia macchinosa e lenta con l’aggiunta di un apparato giudiziario ancora più lento, genera o facilita l’economia sommersa.
La Confindustria va elogiata per avere avuto il coraggio di fare questo outing, cioè di spiegare che l’economia sommersa è notevolmente maggiore rispetto all’economia ombra delle statistiche ufficiali. Da cui si desume che il Pil vero è notevolmente maggiore di quello ufficiale. E va anche elogiata per avere aggiunto che l’economia sommersa è in aumento, dopo la crisi economica, e per avere segnalato l’aumento della pressione fiscale su chi non evade le imposte.
Mi pare però che ci sia una contraddizione fra questi nuovi resoconti e la affermazione dello stessa Confindustria, secondo cui la crescita del Pil italiano nel 2010 sarà solo dell’1,2%, così come essa aveva valutato in giugno. Si tratta di uno 0,1 in più del dato stimato dalla Commissione europea (+1,1%). Ma questo 1,2% non appare coerente con l’affermazione che l’economia sommersa è in aumento. La rettifica che la Confindustria ha fatto per l’economia sommersa del 2009 si basa sul fatto che questa, nella cattiva congiuntura, sta aumentando. Se ciò è accaduto nel 2009 perché non dovrebbe accadere nel 2010? La Confindustria rileva che la disoccupazione è in aumento. E noi sappiamo che l’alimento maggiore della crescita dell’economia sommersa, nei periodi di crisi, è l’aumento della disoccupazione. Dunque l’economia sommersa è un fiume in crescita. E ciò fa sì che la stima ufficiale dell’aumento del Pil non sia attendibile e che l’aumento effettivo sia maggiore. Il fare questa constatazione, corredata da qualche calcolo ipotetico, aiuta a spiegare perché la crisi in Italia non sia sentita in modo così grave come i dati ufficiali farebbero supporre. Questo discorso vale anche per il dato sulla disoccupazione, che è in aumento e che per la Confindustria tende al 9%, una percentuale allarmante, che farebbe pensare al fatto che adesso sia facile trovare un artigiano che venga in casa a fare una riparazione o un cittadino italiano, maschio o femmina, che sia disponibile a effettuare lavoro domestico. È vero che ci sono più disoccupati di prima, ma non è vero che il totale sia così elevato, in quanto una quota rilevante dei disoccupati, già prima della crisi, lavorava in nero. L’opposizione al lavoro flessibile, l’eccesso di sindacalizzazione hanno accentuato questo fenomeno.

Il riconoscere questo non comporta di essere irrazionalmente ottimisti. Aiuta a capire, ad esempio, quanti danni abbia fatto in Italia quella concertazione sindacale centralizzata, che in anni non lontani la stessa Confindustria ha sponsorizzato.

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