Contro la dittatura comunista a ritmo di «Rock’n’roll»

Successo della pièce di Tom Stoppard con musiche di Doors e U2

Aridea Fezzi Price

da Londra

Non è di tutti i giorni che a un evento culturale si vedano insieme Vaclav Havel, Mick Jagger, storici inglesi di punta e David Gilmour dei Pink Floyd. C’erano tutti, da Cate Blanchett a Jeremy Irons e molti altri, mercoledì sera alla prima di Rock ’n’Roll, la nuova romantica pièce di Tom Stoppard su musica rock, dissidenza nell’Europa dell’Est e caduta del comunismo in scena al Royal Court Theatre fino al 15 luglio e al Duke of York a partire dal 22 luglio.
«È forse una visione romantica pensare che il rock abbia la capacità di cambiare la società? L’arte in se stessa non è forse resistenza alla cultura totalitaria? - sottolinea Stoppard -; il gruppo cecoslovacco Plastic People of the Universe secondo il suo fondatore Milan Hlavsa non intendeva sconfiggere il comunismo ma solo suonare musica rock, e in questo esprimeva il dissenso con altrettanta efficacia degli intellettuali e forse di più. Quando alcuni membri furono arrestati nel 1968 durante la primavera di Praga, la cosa fece più scalpore e fu più significativa dell’arresto di scienziati o accademici famosi che si opponevano attivamente al regime». Il gruppo rock lanciava segnali di libertà a un livello più immediato e più viscerale per una censura che colpevolizzerà i Pink Floyd di «distorsione della politica estera sovietica» e i Sex Pistols di «violenza punk». E fu proprio l’arresto dei Plastic a suscitare la protesta che portò alla famosa Carta 77 per i diritti umani. Oggi trovare i loro album non è facile, a occhio e croce si possono associare ai gruppi prog-rock tedeschi degli anni ’70, ma Stoppard li riporta in scena come protagonisti da non dimenticare.
Dopo il successo della raffinatissima trilogia The Coast of Utopia in cui nell’emblematico caso di Herzen esaminava la vicenda dell’intellighenzia russa sotto il giro di chiave di Nicola I quando al dissenso non restava che la via dell’esilio, l’insuperabile autore di Rosencrantz e Guildenstern sono morti, affronta ora il rapporto arte e libertà, rivisitando la vicenda politica del suo Paese d’origine. Sì, sembra voler dire, il regime in Cecoslovacchia è cambiato grazie agli sforzi di intellettuali come Vaclav Havel, ma non dimentichiamo il rock, una forma d’arte apolitica che faceva infuriare i poliziotti e ispirava i giovani e che denunciò l’abisso che esisteva fra il popolo e i suoi leader.
Rock’n’Roll è in scena al Royal Court Theatre per la regia di Trevor Nunn con un superbo ventaglio di attori, in un allestimento minimalista: un giardino e uno studio foderato di libri, scene separate da blackout accompagnati da brani rock che vanno dai Pink Floyd agli U2, Bob Dylan e The Doors, dai Velvet Underground ai Rolling Stones. L’azione si alterna fra i tumulti di Praga e la calma di Cambridge, coprendo un arco di tempo che va dall’invasione sovietica e il rovescimamento di Dubcek alla Velvet Revolution del 1989. Il protagonista, e alter ego dell’autore, è Jan, uno studente di filosofia inviato a spiare negli ambienti accademici inglesi sotto l’ala rossa di un professore marxista di Cambridge, attaccato al comunismo come un riccio al suo scoglio. Ma Jan è troppo poco comunista per soddisfare i suoi capi. Inoltre tornato a casa rifiuta di unirsi al dissenso di intellettuali come lui e trova nella sua passione per la musica rock una forma di ribellione forse più concreta. Nel gruppo dei Plastic vede dei pagani che reclamano il diritto fondamentale di essere liberi da ogni zavorra ideologica per essere fedeli solo alla loro creatività. Non a caso prendendo le loro difese perde il lavoro, viene etichettato un «parassita» e sbattuto in prigione.

L’interpretazione di Rufus Sewell, ora allegro e vivace, ora furibondo e sconfitto, poi stoicamente rassegnato ma pieno di risorse interiori, è straordinaria ed è il nucleo di una commedia che esalta le passioni più che la ragione, la cui trama è fitta di trame e di scontri dialettici che fanno riflettere.

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