Contro i diritti dei cattolici si alza la clava del governo

Sulla legge sulla libertà religiosa la Commissione Affari costituzionali ha sentito, dopo i rappresentanti delle confessioni religiose, un gruppo di esperti, tra cui il sottoscritto. Non c’è dubbio - e lo ha detto anche il segretario della Conferenza episcopale - che la legge che regola la materia religiosa in Italia, che risale al 1929 ed è stata ridotta a una sorta di groviera dai buchi causati da sentenze della Corte costituzionale, sia vecchia e vada riformulata. La proposta Boato-Spini è quasi - ma attenzione al quasi - identica a quella presentata dal governo Berlusconi nella passata legislatura. Entrambe si basano su un progetto ancora più antico di un galantuomo di sinistra, l’ex-deputato e pastore protestante Domenico Maselli.
Maselli prima e il governo Berlusconi poi non avevano la minima intenzione di proporre una legge «sull’islam», ma di regolare il problema delle tante piccole denominazioni, soprattutto protestanti, che non possono permettersi, o non sono adatte, al lungo e complesso iter delle Intese, quei «piccoli concordati» di cui godono, per esempio, gli ebrei e i valdesi. Ma la tragedia dell’11 settembre ha spostato l’attenzione sui musulmani, e i deputati hanno cominciato a chiedersi se questo o quell’articolo della legge non possa essere sfruttato a loro favore dai predicatori ultra-fondamentalisti.
Di questo mutato clima si deve prendere realisticamente atto. Così l’articolo 11 della proposta Boato-Spini elimina - ed è la differenza di maggior rilievo rispetto al testo del governo Berlusconi - l’obbligo del ministro di culto di leggere le disposizioni sulla famiglia del Codice civile nella cerimonia nuziale, anticipandone la lettura al momento delle pubblicazioni. In altra epoca, si sarebbe trattato di un semplice snellimento del matrimonio, gradito agli invitati che aspettano il pranzo e i confetti. Oggi però - dopo che qualche esponente non irrilevante del mondo musulmano ha preso a chiedere a gran voce la poligamia - l’omissione della lettura delle norme italiane rischia di essere percepita come rinuncia simbolica dello Stato a ricordare a tutti che l’unico modello di famiglia riconosciuto in Italia è quello monogamico (per il momento), eterosessuale, e fondato sulla parità dei diritti fra uomo e donna. Non si può ignorare che il mondo è cambiato dopo l’11 settembre: per evitare equivoci infiniti, la lettura degli articoli del Codice va reintrodotta nel contesto stesso del matrimonio.
Per il resto, ha ragione l’onorevole Patrizia Paoletti Tangheroni (FI), già relatrice della (quasi) analoga legge proposta dal governo Berlusconi, quando nota che nel testo in esame i controlli per il riconoscimento di organizzazioni che si affermano religiose sono semmai «più puntuali e stringenti» rispetto alla normativa attualmente in vigore. Sul punto un accordo tra maggioranza e opposizione è possibile. Il problema, però, è politico. I diritti delle minoranze, certo legittimi, sono impugnati dai vari ministri Ferrero come una clava contro i diritti della maggioranza, in un Paese dove l’ottanta per cento dei cittadini, magari non troppo praticante, si dichiara però cattolico. Parlare sempre e solo dei diritti delle minoranze dà fastidio.

Anche la maggioranza ha i suoi diritti, e riconoscerli in modo esplicito, chiudendo la stagione di tiro al Papa e al cattolico, è il modo più sicuro per creare un clima sereno dove anche le minoranze rispettose della legge possano essere tutelate in modo equo e ragionevole.

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