Gli artigli della tigre economica hanno distrutto il simbolo del Paese. Zampata dopo zampata, mentre il Pil della Cina cresceva di anno in anno con un tasso medio del 9%, la Grande Muraglia si è sgretolata, rischiando di perdere fascino, storia e presenza stessa. Da fine agosto qualcosa sta cambiando: lo si evince dal movimento di un gruppo di manovali che si arrampica su per le montagne a nord di Pechino. Aiutati solo dagli asini e da rudimentali sistemi di carrucole, trasportano tonnellate di materiali da costruzione lungo sentieri ripidi e accidentati. Dopo mesi di stop per la pandemia, uno dei più grandi progetti di restauro al mondo è finalmente ripartito.
Anche se è uno dei simboli nazionali della Cina, la Grande Muraglia è caduta in disgrazia durante il boom economico. Le antiche fortificazioni sono state danneggiate dalla speculazione edilizia e dal turismo di massa, che hanno cancellato centinaia di chilometri di mura. Per la politica di «ringiovanimento nazionale» di Pechino, restituire la Grande Muraglia all'antico splendore è diventato un obiettivo prioritario. Le amministrazioni locali, dalla capitale, a est, fino a Jiayuguan, a ovest, a più di 1500 chilometri di distanza, hanno avviato lavori di ricostruzione su larga scala. Intere zone sono state classificate «cintura culturale», con controlli severissimi sugli sviluppi edilizi futuri.
La Grande Muraglia rivisitata (ma non troppo) vive attraverso gli occhi di Cheng Yongmao. Bastone da passeggio alla mano, spinge via un ramo ricoperto di rugiada mentre avanza su un tratto pericolante del muro di pietra che si inerpica per la collina. Avventurarsi in queste zone può essere massacrante, ma Cheng, 63 anni, non sembra provare fatica. In qualità di capo ingegnere dei lavori di restauro di Jiankou, uno dei tratti più ripidi della muraglia, passa ore ogni giorno a scalare le vette a nord di Pechino, dando consigli agli operai sugli interventi di restauro. Cheng e la sua squadra fanno parte di un gigantesco progetto di conservazione del monumento più famoso della Cina, che si estende dalla costa orientale del Paese fino al deserto del Gobi, più di duemila chilometri a ovest. È una sfida ingrata, resa ancora più ardua dalle difficoltà del terreno. Lungo il tratto isolato di Jiankou, i restauratori usano principalmente materiali tradizionali sviluppati all'epoca della dinastia Ming (tra il 1300 e il 1600). I metodi per trasportarli sono altrettanto antiquati: gli asini portano i mattoni e i sacchi di calce fino alla cresta della montagna, poi gli operai li issano sulla muraglia con delle carrucole e se li caricano in spalla fino alle torri di guardia. «Il trasporto dei materiali è una delle parti più difficili - spiega Cheng - solo degli alpinisti possono svolgere questo lavoro».
L'intervento tuttavia è urgente e necessario. La Grande Muraglia è stata costruita da varie dinastie imperiali cinesi che si sono succedute nell'arco di quasi duemila anni e il tempo ha lasciato il segno sulle antiche fortificazioni. Anni di esposizioni al rigido clima della Cina settentrionale hanno indebolito lunghi tratti della muraglia e altri danni sono stati causati dall'uomo. Negli anni Novanta, durante il boom dell'economia cinese, le amministrazioni locali hanno cominciato a sfruttare il potenziale della Grande Muraglia come destinazione turistica, ma hanno preso pochissime precauzioni per proteggerla dai visitatori. A volte le attività commerciali hanno superato il limite. Nel 2006 l'ente che gestisce Juyongguan, un tratto della muraglia vicino a Pechino, ha consentito ai visitatori il permesso di incidere i loro nomi sui mattini pagando l'equivalente di 125 euro nell'ambito di un programma chiamato «Muraglia dell'Amore». A Jiankou i residenti hanno piazzato delle scale accanto ai tratti più difficili da raggiungere, facendole usare a pagamento agli escursionisti. Gli affari andavano bene. Ogni anno venivano più di centomila persone a fare trekking su questi spettacolari passi montani. Anche l'antica pavimentazione ha cominciato a cedere sotto il pestare costante di piedi e bastoni da passeggio, creando pericoli per la sicurezza. In particolare, lungo l'Aquila che vola verso l'alto, un tratto quasi in verticale che si arrampica su una cima ripidissima, molti escursionisti sono rimasti feriti o addirittura sono morti per aver perso l'equilibrio.
Gli sforzi a livello nazionale per tutelare la Grande muraglia sono cominciati a metà degli anni duemila. Solo a quel punto si è cominciato a capire l'entità dei danni fatti nei decenni precedenti. Nel 2005 una perizia delle sezioni della muraglia intorno a Pechino ha rilevato che solo il 10% dell'antico monumento era rimasto in buone condizioni. La svolta è arrivata nel 2006, quando il governo ha aggiunto buona parte della Grande muraglia alla lista dei siti culturali protetti e ha sbloccato fondi pubblici per 640 milioni di dollari destinati alla ristrutturazione. Successivamente, tra il 2007 e il 2016, l'amministrazione di Pechino ha investito ulteriori 77 milioni di dollari. «Quando la gente pensa alla Cina, pensa alla Grande Muraglia - ha detto il presidente Xi Jinping nel corso di una recente visita ai cantieri - dobbiamo dare grande importanza alle radici profonde dello spirito nazionale cinese».
La squadra di Cheng è una convinta sostenitrice dell'intervento minimo. Più del 95% dei mattoni usati è originale e i materiali aggiuntivi sono stati ridotti al minimo. Le difficoltà logistiche estreme legate al restauro di fortificazione che si trovano in cima alle montagne, e sono tagliate fuori dalla rete stradale moderna, hanno rallentato i lavori. Mentre gli asini si arrampicavano su salite ripidissime caricandosi in groppa i materiali da costruzione, gli operai portavano a mano spranghe d'acciaio da quaranta chili per issare i mattoni sui bastioni.
Dopo alcuni giorni molti tra gli operai hanno gettato la spugna con le ginocchia gonfie per lo sforzo. «Non abbiamo alcuna intenzione di arrenderci - sottolinea Cheng - la forza lavoro non manca di certo a questa nazione. L'obiettivo è alla portata di mano: la Grande Muraglia tornerà a splendere entro due anni».
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