La Costituzione è il frutto di un tira e molla

Caro Paolo, da tempo infinito - lo confesso - non rileggevo la nostra Carta fondamentale. L’occasione mi è stata data dalla scoperta di un interessante libro scritto un paio d’anni orsono da Dino Messina, il quale ha pensato bene di aggiungere appunto il «sacro» testo in coda a una serie di interviste raccolte sotto il titolo Salviamo la Costituzione italiana. Che dire se non che, a prescindere dalle opinioni degli illustri interpellati e solo rileggendone i principi fondamentali collocati come noto all’inizio, la mia conclusione è assolutamente opposta? Non me ne ero mai reso conto, ma il primo articolo è degno in tutto e per tutto di una nazione nella quale il marxismo imperi. «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» non richiama forse alla mente irresistibilmente, che so? la Germania dell’Est (democratica per definizione) o qualche altro Paese un tempo sottomesso all’Unione Sovietica? «La sovranità appartiene al popolo...» e perché non ai «cittadini»? L’articolo 3, poi, nel secondo capoverso, spiega che «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che... impediscono il pieno sviluppo della persona umana» e ci mancherebbe altro, «e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» e non v’è chi non veda che l’ora riportata frase sarebbe stata perfetta se il vocabolo «lavoratori» non fosse stato incluso. La suindicata partecipazione, infatti, non può essere che possibile a tutti e non ai soli lavoratori! Altro che seconda parte da rivedere: il pesce, come si dice, puzza dalla testa e così la nostra Carta costituzionale. Buttiamola via!
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Eh, quanta fretta! Pensi forse che sarebbe possibile, oggi, riscrivere da cima a fondo una Costituzione con la litigiosa e culturalmente zuzzurellona casta che abbiamo a disposizione? Non che qualcuno non l’abbia fatto: la Spagna, la Francia e ovviamente la Germania. Gli Stati Uniti l’hanno fortemente corretta con gli Emendamenti, tutte cose che sai a menadito, caro Mauro. A ben vedere l’unica Costituzione che non è mai stata rivista o aggiornata è quella inglese. Perché non esiste. Faccenda interessante, visto che si parla della nazione culla della democrazia. La nostra Carta, da qualche bello spirito definita «la più bella del mondo» (tale e quale il nostro campionato di calcio, insomma) è il risultato di un tira e molla fra le anime dei costituenti, quella comunista, quella cattolica e quella liberale, battagliera ma poco rappresentata in termini di voti. Tutti erano però d’accordo nel farne una Costituzione assai rigida, con pesi e contrappesi tali da neutralizzare ogni velleità di supremazia di un potere sull’altro (anche se oggi, aggirando la Carta, la Magistratura ha assunto in pratica una supremazia che costituzionalmente non le spetta). I tocchi, le pennellate bolsceviche al testo furono barattati dal Pci in cambio della manica larga sul principio della laicità dello Stato, che infatti non ha richiami nella legge fondamentale. Quanto all’articolo 1, pensa che Togliatti lo voleva così: «L’Italia è una Repubblica di lavoratori». I liberali contrapposero la formula, macchinosa ma efficace, «L’Italia è una Repubblica fondata sui diritti della libertà e i diritti del lavoro», ma il Pci puntò i piedi. Il compromesso fra la versione comunista e quella liberale (con fin troppo evidente concessione a quella comunista) fu opera di Amintore Fanfani. Togliatti poi ottenne di infilare i lavoratori ovunque se ne presentasse l’occasione, e questa è la ragione del balengo secondo comma dell’articolo 3. Però, caro Mauro, la nostra Costituzione non può davvero dirsi, nella sostanza, comunista.

L’unico successo concreto Togliatti l’ottenne con l’articolo 40: «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». Sapeva, il Migliore, che nessun Parlamento, né allora né mai, avrebbe avuto gli attributi per farle, quelle leggi. Ebbe ragione.
Paolo Granzotto

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