Crisi, D’Alema dà ragione a Berlusconi

L'ex ministro degli Esteri strappa gli applausi alla platea dei giovani industriali riuniti a Capri: "Bene il premier: il sistema bancario italiano è solido. La Ue sia flessibile". Il piano di Massimo: mollare Veltroni. "L'incontro con lui? Aria fritta"

Crisi, D’Alema dà ragione a Berlusconi

nostro inviato a Capri

La stilettata è partita da Capri e come in un rito woodoo è volata invisibile e molto lontano, a Roma, fin dentro le stanze del Partito democratico. Proprio sotto la poltrona - dolorosa e bassa insinuazione - del segretario Walter Veltroni. Perché sono parole che fanno e faranno male all’ex sindaco di Roma quelle distillate ieri a Capri, al convegno dei giovani di Confindustria, da un Massimo D’Alema in particolare stato di grazia oratorio. Deliziosamente suo. Deliziosamente luciferino. Che lo ha portato dapprima a fiorettare a distanza, ma cavallerescamente, con Giulio Tremonti. Poi a un affondo politico sostenendo argomenti oggettivamente confindustriali, se non addirittura «da centrodestra». E infine a un inatteso, ma inequivocabile riconoscimento pubblico al presidente del Consiglio.

Con il risultato di scoprire politicamente da ogni lato, rendendolo ancor più attaccabile di quanto già non sia, il povero «Uolter». «Ho letto sui giornali che venerdì in questa sala Tremonti ha detto che “il denaro non produce magicamente denaro”... È una citazione di Carlo Marx. E mi fa piacere perché, sia pure in bocca a Tremonti, Carlo Marx resta sempre Carlo Marx», ha commentato con ironia l’ex ministro degli Esteri. Che all’attuale responsabile dell’Economia, nei confronti del quale ha comunque espresso claris verbis il suo apprezzamento, ha dedicato anche un accostamento, per le affermazioni fatte, al francese Jacques Delors, «pure lui uno dei nostri».

Ma è sui temi dell’economia, quelli che stanno a cuore alla platea dei giovani (e meno giovani) imprenditori, che D’Alema ha spiazzato platea e cronisti. Sostenendo a sorpresa che, all’ovvia condizione di «essere volta a migliorare i salari, la riforma della contrattazione è necessaria». Tre piccioni con una fava: ha fatto così spellare le mani agli industriali, ha marcato una prima distanza politica da Veltroni e, visto che c’era, ha mandato un siluro anche a Guglielmo Epifani, leader della Cgil, e al suo patetico tentativo di respirazione bocca a bocca alla defunta scala mobile. Colpito e affondato.

Quindi D’Alema ha accelerato. «In una grande crisi come questa ci sono tre numeri che non tornano. Uno di questi è il tasso d'interesse che la Bce ancora ostinatamente difende soprattutto in una fase di crisi dei consumi, e che invece consiglierebbe un sistema più espansivo di sviluppo», ha scandito anticipando addirittura lo stesso concetto che sarebbe stato espresso più tardi dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Musica, per gli imprenditori. «Il secondo numero che non funziona - ha proseguito mettendo di fatto in discussione uno dei dogmi intoccabili di Romano Prodi - è il vincolo del 3% del Patto di stabilità che Bruxelles dovrebbe rivedere in una forma più flessibile, fermo restando che io sono per mantenere gli impegni. Ma in questa fase c’è bisogno di un intervento in quel senso». Infine, ha incalzato, «il terzo numero che nonva è l’1% di quota del Pil che deve andare al bilancio di un’Unione europea che si pone degli obiettivi e poi non si dà i mezzi per realizzarli».

Affrontando infine il tema della crisi finanziaria che sta facendo scricchiolare in modo sinistro i mercati, D’Alema ha espresso apprezzamento per le affermazioni tranquillizzanti del presidente del Consiglio - «gli italiani non perderanno un euro» - circa la solidità del sistema finanziario italiano.

«Giuste - ha detto D’Alema - le parole di Berlusconi che ha rassicurato sulla solidità del nostro sistema finanziario». Proprio quelle stesse parole che, guarda caso, avevano invece scatenato il dileggio da parte del Pd veltroniano.

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