"Un contratto di sottomissione sessuale". Nuovi dettagli sulla vigilessa uccisa in caserma

Spuntano particolari inediti sull’omicidio di Sofia Stefani: un anno prima avrebbe sottoscritto un patto con Gualandi, il collega e comandante al quale sarebbe partito il proiettile

"Un contratto di sottomissione sessuale". Nuovi dettagli sulla vigilessa uccisa in caserma
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Un "contratto di sottomissione sessuale” sottoscritto circa un anno prima dell’omicidio. È questo il dettaglio che emerge nel corso del processo per l’omicidio di Sofia Stefani, uccisa il 16 maggio 2024 da un proiettile partito dalla pistola di ordinanza del collega Giampiero Gualandi. I due erano colleghi nella polizia locale di Anzola in provincia di Bologna, dove Gualandi, oggi a giudizio nonostante abbia sempre sostenuto la tesi dell’incidente, era comandante.

A parlare del contratto in aula sono stati la procuratrice aggiunta Lucia Russo e l’avvocato Andrea Speranzoni, difensore di parte civile per la famiglia Stefani, nei loro interventi di richiesta delle prove. Stando al contratto, l’imputato “si autodefiniva padrone, colui che tutto può sulla sua schiava”. Un rigo di quello scritto reciterebbe così: “Io signore e padrone mi impegno a dominare l'anima della mia sottomessa”.

Secondo la difesa però, sarebbe stato solo un gioco: “Il contratto di sottomissione viene dal libro ’50 sfumature di Grigio’ uno dei successi editoriali del 2011, lo si trova nel capitolo 11. Ci sono siti Bdsm da cui si possono scaricare contratti di questo tipo. Era un gioco, non ha nessuna validità, nessuna efficacia giuridica, nessuna possibilità di condizionare comportamenti. Nella vita sessuale gli adulti possono fare quello che vogliono”, ha spiegato uno degli avvocati di Gualandi Claudio Benenati. Di diverso parere Speranzoni: “In quel contratto i protagonisti sono un comandante e un agente, si colloca tutto nel contesto lavorativo di Sofia Stefani”.

I due, imputato e vittima, sarebbero stati legati da una relazione extraconiugale, e, come detto, Gualandi ha sempre sostenuto si sia trattato di un incidente. “Nei concitati giorni che portarono all'omicidio, Gualandi si trovava prigioniero di un castello di menzogne da lui stesso costruito. Nella fase che precede l'omicidio, Gualandi assume comportamenti di assoluta doppiezza, mandando alla Stefani messaggi confermativi del rapporto affettivo e sessuale mentre alla moglie, negli stessi minuti, scriveva di essere tormentato da Stefani”, ha illustrato la procuratrice Russo.

La quale sostiene che non si sia trattato di un incidente, poiché sull’arma non ci sarebbero impronte biologiche o dattiloscopiche di Stefani, ma solo di Gualandi.

La relazione tra vittima e imputato sarebbe stata ancora in piedi, stando all’accusa, nel giorno dell’omicidio: si sarebbe interrotta solo per alcuni giorni ad aprile 2024 per poi riprendere. In quell’occasione Gualandi sarebbe stato scoperto dalla moglie, alla quale avrebbe detto che la storia sarebbe finita da tempo, ma che Stefani avrebbe continuato a perseguitarlo.

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