C'erano tutti gli ingredienti per una grande festa: i parenti, gli amici, tantissimi, i canti, la musica, i fiori e i palloncini, gialli e blu. Nella chiesa di San Filippo Neri, alla Bovisasca (periferia nord di Milano), c'era davvero tutto per vivere, insieme, un momento davvero speciale. Ed è stato un momento speciale, purtroppo per un'occasione di grande dolore e sofferenza, l'ultimo saluto a Julia Ituma, la giovane campionessa di pallavolo tragicamente scomparsa a Istanbul nella notte tra il 12 e il 13 aprile.
Nelle prime file della chiesa, stretti intorno alla bara, la mamma Elizabeth, la sorella Vanessa, il fratello Daniel e la zia Ethel. Alle esequie ha preso parte anche il ministro dello Sport, Andrea Abodi, accompagnato dal presidente della Lega Volley Mauro Fabris. Presenti le compagne di squadre di Julia (la Igor Volley di Novara) e le delegazioni di numerose realtà della pallavolo.
Sul sagrato della chiesa c'era una grande folla, composta, in rispettoso silenzio. Si respirava la profonda commozione. Dalla porta centrale della chiesa dopo diversi minuti dalla fine delle esequie sono usciti la mamma, il fratello e la sorella di Julia con gli altri parenti. Fuori, profondamente commosso, a contemplare il feretro in silenzio, il padre di Julia. Le amiche della polisportiva parrocchiale San Filippo Neri si sono strette attorno al feretro lanciando verso il cielo numerosi palloncini azzurri e gialli, i colori sociali della loro squadra. La compagine dove aveva avuto inizio la splendida avventura di Julia, che poi era arrivata a calcare i parquet dei prestigiosi tornei internazionali (dalla Champions agli Europei vinti con la maglia della Nazionale under 19). Un caloroso applauso, "ciao Giulia". Lacrime e incredulità, nonostante siano passati già alcuni giorni dalla tragedia. Il dolore però è ancora vivo, così come le mancate risposte, i perché, che continuano ad arrovellare le menti chi chi ha voluto bene a Julia. Di chi la conosceva e apprezzava ma anche di chi ne ha sentito parlare solo di recente, dai giornali.
Avevo visto Julia decine di volte, quando era piccola, nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, la nostra parrocchia di via Catone, alla Bovisa. Lei veniva a messa con la sorella Vanessa, il fratellino Daniel, e i loro cari genitori. Ricordo i loro volti felici alla Marcia Nord, la corsa benefica della parrocchia che, per la categoria femminile, veniva vinta puntualmente, ogni volta, dalla mamma Elizabeth. Uno strazio partecipare al funerale di Julia e rivedere i volti di questa famiglia devastata dal dolore. Un dolore estremamente composto. Un bel momento di preghiera e raccoglimento c'è stato lunedì sera, nella chiesa di via Catone: una veglia di preghiera con la recita del rosario, intervellato da alcune letture sul miracolo della risurrezione di Lazzaro. Davanti all'altare c'era un grande vaso spezzato in centinaia di piccoli pezzi colorati. Alla fine della toccante cerimonia il parroco, don Fabio Carcano, ha invitato i fedeli a prendere un coccio e a portarlo via con sé, come segno della "preghiera che continua a chiedere al Signore di risanare i nostri cuori infranti e fasciare le nostre ferite".
Il funerale di Julia non si è svolto nella sua parrocchia ma, su richiesta della famiglia, nella chiesa che Julia aveva frequentato da piccola giocando a pallavolo nella squadra dell'oratorio. Don Ivan Bellini, il parroco, nella sua omelia ha commentato il vangelo di Marco nell’episodio in cui Gesù incontra i fanciulli. Nelle sue parole ha poi citato un proverbio africano: "Per generare la vita bastano i genitori ma per educare un bambino occorre un villaggio intero. La storia di Julia - ha detto don Bellini - è stata per noi una buona notizia, la dimostrazione che i nostri villaggi possono essere luoghi di integrazione e di educazione. Anche dopo il suo salto di qualità nelle grandi squadre - ha aggiunto - l’abbiamo seguita e abbiamo tifato per lei, ed è diventata motivo di rinnovato entusiasmo nella nostra piccola realtà sportiva". Don Ivan ha poi ricordato un discorso di Papa Francesco, che esattamente un anno fa parlando ai giovani aveva detto loro: "Non bisogna vergognarsi di dire 'ho paura del buio'. Le paure vanno dette. Non scoraggiatevi se avete paura. Nelle crisi si deve parlare, le crisi vanno illuminate per vincerle". Ed ha poi aggiunto, rivolgendosi a tutti, giovani e non: "Ci vogliono sempre infallibili, vincenti e forti, ma vogliamo rivendicare il diritto e la bellezza di essere fragili, di sbagliare qualche volta". E ha concluso: "Julia, figlia nostra, sorella, amica, Titu (il soprannome della ragazza, ndr), grazie per ciò che sei stata per tutti noi e continua a camminare con noi".
L'arcivescovo di Milano, monsignor Maro Delpini, ha inviato un messaggio alla famiglia di Julia e ai fedeli: "Desidero esprimere la mia vicinanza e la mia condivisione in questo momento di strazio e di smarrimento che i familiari, gli amiche gli amici, e tutta la comunità vivono per l’enigma incomprensibile della morte di Julia. Si affollano domande, inquietudini, sensi di colpa che si accompagnano a ricordi lieti, memorie di imprese entusiasmanti. Viviamo insieme il dramma di renderci conto che la vita non ha mantenuto la sua promessa di felicità e la morte misteriosa, incomprensibile e imprevedibile, ha stroncato il desiderio di diventare adulti per una vita desiderabile. Non sappiamo che cosa ha vissuto Julia. Sappiamo che cosa vuole Gesù: che tutti siano salvati, che tutti siano amati dall'amore invincibile di Dio. Gesù è morto crocifisso dell'incomprensibile crudeltà della gente, è disceso agli inferi per rivelare che non c'è abisso di male che non sia visitato dal desiderio di Dio di rendere felici".
Fuori dalla chiesa, tra le tantissime persone presenti, molte delle quali in lacrime, c'è una giovane ragazza in lacrime, Aurora Cannone, amica d’infanzia di Julia. Con lei aveva condiviso l’esperienza dell’oratorio e della Polisportiva. "I ricordi sono dentro. Ma basta arrivare qui perché tutto esca fuori. Lei era grande, potente, fin da quando eravamo adolescenti. Un esempio".
Alla fine della messa ha preso la parola un docente universitario amico di famiglia, Elias Malazavos Alexis, che stava accompagnando la ragazza nel suo percorso di preparazione per il test di ingresso all'università. Nel suo ricordo ha detto che "Julia aveva un'intelligenza spiccata, era curiosa di imparare, di apprendere, aveva caratteristiche che sono proprie di un ricercatore, non si sentiva mai soddisfatta delle risposte che otteneva. Era interessata all’alimentazione. Si preparava a intraprendere un percorso universitario, il vero progetto di Julia". Poi, guardando anche il ministro dello sport Abodi, presente in chiesa, ha aggiunto: "Bisogna permettere a questi atleti di continuare a studiare al di là dei risultati. È indispensabile, obbligatorio".
Chissà quali sogni albergavano nell'anima di Julia. Chissà se lo sport che amava, a quei livelli sempre più alti gli creava troppe pressioni, impedendole di fare ciò che più desiderava, studiare.
Forse non era così, forse aveva due grandi passioni, i libri (e la ricerca) e le schiacciate nel volley. E c'era qualcos'altro che la opprimeva nel profondo. Non lo sapremo mai. Ma non importa. Ora Julia è libera e, come ha detto papa Francesco, non deve avere più paura del buio.
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