I soldati del dark web: i gruppi estremisti si muovono online

Un'inchiesta che vuole portare alla luce il mondo dei gruppi estremisti che si nascondono all'interno del dark web, lontano dagli occhi delle forze dell'ordine, almeno così credono

Alcuni degli oggetti sequestrati ai membri dell'Ordine di Hagal
Alcuni degli oggetti sequestrati ai membri dell'Ordine di Hagal

Pubblichiamo oggi la prima puntata dell'inchiesta "Soldati del dark web" risultata fra i vincitori del corso di giornalismo investigativo della Newsroom Academy

Innanzitutto è necessaria una premessa: il World wide web, o più semplicemente il web, può essere descritto come composto da vari strati. Quello conosciuto, il surface web, è solamente lo strato superficiale di un mondo sommerso suddiviso, appunto, in più strati. Le zone in ombra, note come deep e dark web, hanno dato spunto a un insieme variegato di leggende urbane e non, che divagano dalle armi vendute illegalmente alla possibilità di assoldare killer professionisti. Partendo da alcuni fatti di cronaca di recente avvenimento, l’indagine vuole comprendere cosa si cela dietro un fenomeno in particolare: la presenza di gruppi estremisti (di varia natura) online.

Diventata ormai parte dell’immaginario collettivo, l’idea che gruppi estremisti si organizzino, comunichino tra loro e reclutino nuovi membri attraverso il web ha preso piede in particolar modo con l’avvento del gruppo terroristico Isis-K nel 2014. Quest’ultimo utilizzava addirittura piattaforme come Facebook per ricercare ed attirare nuove reclute.

Nel tempo, anche per un crescente controllo applicato a siti web simili al social di Meta, alcuni di questi gruppi si sono spostati nel dark web, o su siti e piattaforme che promettono una forma di comunicazione anonima e chiusa, nascosta, dunque, dai motori di ricerca e difficilmente visibile alle forze dell’ordine. Trattasi, però, anche in questo caso di una “leggenda” del web: l’anonimato non è mai del tutto garantito e le azioni perpetrate sul web sottostanno comunque alle leggi nazionali.

Secondo il rapporto dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni (Uit), nel 2021 il web è stato utilizzato da circa 4,9 miliardi di utenti rispetto ai 4,1 miliardi del 2019. L’incremento della connettività è legato principalmente al Covid-19. Tra gli effetti attribuibili alla pandemia anche quello dell’accelerazione dei processi di radicalizzazione già presenti all’interno della società, come è naturale che sia durante periodi di grandi incertezze, quando posizioni nette promettono maggiore chiarezza e stabilità.

La censura della disinformazione legata al virus ha spinto molti di coloro che sostengono tesi negazioniste o no-vax, a spostarsi in forum simili a quelli frequentati e alimentati da gruppi radicali politico/religiosi, aumentando anche la diffusione di applicazioni di messaggistica criptata, come Telegram. Questo fenomeno si inserisce all’interno di un contesto più ampio e complesso che ci racconta di come radicalizzazione e polarizzazione si sviluppano nella rete. Le chiavi di accesso a queste realtà si trovano nel senso di diffidenza e sfiducia nei confronti delle istituzioni, le quali aprono le porte di accesso a tesi reazionarie contro processi elitari o presunti tali.

Quando nel 2022 l’ondata di disagio, incertezza, crisi economica e sociale causata dal Covid-19 sembrava finalmente placarsi, il 24 febbraio è scoppiata la guerra in Ucraina. Alle discussioni sui vaccini, sull’origine del virus e sulle misure dei governi, si sono sostituite quelle sulle armi, sul possibile conflitto nucleare e sull’avvento di una guerra mondiale, sui pacifisti e sui filorussi. Il discorso pubblico è stato invaso da notizie su foreign fighter e sulla presenza di neonazisti tra le fila dell’esercito ucraino (in riferimento al famigerato battaglione Azov).

La guerra alle porte dell’Europa ha stravolto gli scenari di intelligence e portato nuova luce sull’importanza strategica del cyberspazio. Non sono mancate le esaltazioni di gruppi che, affascinati dalle pratiche dell’infowar, hanno scelto di approfittare della crisi in atto per avvalorare o riportare in auge ideologie estremiste.

La guerra ha dunque assorbito fenomeni di minor grandezza, molto complessi e difficili da monitorare. D’altra parte, i tempi cambiano e il web fornisce un nuovo paradigma su cui è importante riflettere a fondo, perché se fenomeni come questo sono sempre esistiti, le operazioni via web e la loro facile accessibilità, costituiscono un serio problema per i governi.

Questi gruppi, infatti, si muovono sul web all'interno di camere di risonanza, nelle quali le loro ideologie si autoalimentano. Non meno importante sono le discipline tecno-giuridiche degli Stati che, anche a fronte di nuovi scenari geopolitici, devono adottare sistemi di contrasto.

L’impegno degli Stati è orientato ad ampi interventi in materia di contrasto alla criminalità cybernetica e ad operazioni di contrasto alla disinformazione, quest’ultima portata avanti da gruppi specializzati del web (anche su commissione) che nell’estremismo trovano risonanza, con notevole dispendio di risorse pubbliche.

Viene naturale porsi la domanda su quanto il fenomeno della presenza di gruppi radicali online sia solo un rigurgito d’odio o quanto parte di un sistema più complesso in cui disinformazione, interferenze e manipolazione si intersecano, con un elevato rischio per la sicurezza nazionale.

Il fenomeno è globale, ma ci siamo concentrati sulla situazione italiana. L’inchiesta vuole far luce sulla proliferazione di questi gruppi, su come viene svolto il loro monitoraggio, nonché la loro repressione.

Per farlo siamo partiti da un fenomeno tutto nazionale, passato in sordina e molto poco dibattuto sui media italiani, ma degno di un’analisi più approfondita: ci riferiamo agli eventi che il 15 novembre 2022 hanno portato all’arresto di alcuni esponenti dell’associazione “Ordine di Hagal” con l’accusa di essere una cellula di estrema destra di stampo neonazista con finalità di atti eversivi violenti.

Scopriremo nel corso della nostra inchiesta come questa vicenda possa assurgere al ruolo di paradigma riguardo

l’utilizzo del web e i metodi a disposizione degli inquirenti per monitorarli, i limiti etici e morali che toccano le corde della libertà di espressione e quelli che invece scatenano una reazione necessaria, la loro repressione.

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