La pandemia Covid-19 ha causato indirettamente anche un'altra problematica importante: la resistenza dei batteri agli antibiotici.
La situazione in Italia
Purtroppo, più se ne usano e più la diffusione di batteri resistenti è aumentata. L'Italia è tra Paesi dove si consumano più antibiotici: nel 2019, il 40% della popolazione ha ricevuto almeno una prescrizione a cui bisogna aggiungere una percentuale di autoprescrizioni legate al "fai da te" di chi decide in autonomia di prendere un antibiotico per una cistite o un improvviso mal di denti. Cosa c'entra il Covid? Un rapporto dell'Istituto Superiore di Sanità stima che nel 15% dei pazienti Covid finiti in terapia intensiva fosse presente qualche sovra-infezione batterica, in molti casi di tipo resistente e che, in misura maggiore o minore a seconda dei casi, abbia contribuito al decesso del paziente. L'azitromicina utilizzata nei ricoverati in ospedale assieme all'interruzione degli interventi che promuovono l'uso ottimale degli antibiotici e lo screening per microrganismi multiresistenti nel periodo più intenso dell'emergenza, potrebbero avere causato un aumento della resistenza.
La pericolosa "resistenza" dei batteri
La resistenza antimicrobica (Amr) è stata dichiarata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come una delle prime dieci minacce globali per la salute pubblica mondiale. Secondo i dati dell'ultimo rapporto realizzato da The European House-Ambrosetti, la resistenza causa 33mila decessi all'anno che, se non si correrà ai ripari, potrebbero arrivare a 10 milioni nel 2050, in pratica più dei decessi dovuti a cancro, diabete e incidenti stradali. In Italia, ogni anno, le infezioni causate da batteri antibiotico resistenti costano la vita a circa 11mila persone e questa problematica risulta in continua crescita a causa di un uso inappropriato di questi farmaci. Uno studio inglese pubblicato su Jama conferma: ad un gruppo di 36145 pazienti Covid, al 37% era stato prescritto un antibiotico prima del ricovero e l'85% dei 46061 pazienti inclusi nell'analisi ha ricevuto uno o più antibiotici durante la degenza ospedaliera. Eppure, soltanto 1107 dei pazienti aveva un'infezione batterica confermata correlata a Covid-19 e la maggior parte si è verificata più di 48 ore dopo il ricovero. Tre indizi fanno una prova: l'ultimo rapporto Aifa registra acquisti di antibiotici raddoppiati nel marzo 2020 rispetto ai valori dell'anno precedente: i macrolidi mostrano un incremento del 77% rispetto al 2019, con l'azitromicina che fa registrare un aumento del 160%.
"Primi come mortalità"
"L'Italia ha delle problematiche di resistenza maggiori rispetto ad altri paesi europei", afferma Maurizio Sanguinetti, presidente della European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases e direttore di Microbiologia alla Fondazione Universitaria Policlinico Agostino Gemelli, a Repubblica. "Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Infectious Disease, il nostro paese è primo come indice di mortalità causata dall'antimicrobico resistenza". Inoltre, ogni anno in Italia abbiamo tra le 450 e le 700 mila infezioni in pazienti ricoverati in strutture di assistenza sanitaria e socio-sanitaria che interessano soprattutto individui di età superiore ai 65 anni (63,7% del totale), più fragili e più esposti al fenomeno delle resistenze, e che sono causa diretta del decesso del paziente nell'1% dei casi.
Perché questo aumento
"I dati ufficiali ancora non sono disponibili", dichiara Cristina Mussini, direttore di Malattie Infettive al Policlinico di Modena e ordinario di Malattie Infettive presso l'Università di Modena e Reggio Emilia. "Si può ipotizzare che la necessità di dover inserire in ospedale tanti nuovi medici e infermieri non formati per l'attuazione dei programmi per il controllo delle infezioni abbia comportato una minor attenzione anche perché abbiamo lavorato in condizioni di estrema urgenza". Un'altra possibile spiegazione sta proprio nell'aver utilizzato antibiotici per la cura di pazienti Covid. "Nella prima fase emergenziale si pensava che ci potessero essere anche infezioni batteriche in associazione al Covid. Per questo sono state utilizzate cefalosporine e altri antibiotici. In realtà, si è visto poi che la percentuale di infezione batterica era inferiore al 10% e infatti dopo la prima ondata abbiamo smesso di usare gli antibiotici", spiega la Mussini. La conferma arriva anche dal Prof. Sanguinetti: "Al Gemelli abbiamo realizzato uno studio sulle infezioni del sangue in pazienti Covid ed abbiamo riscontrato che c'è stato un grande uso di antibiotici non motivato che ha portato ad un incremento del problema della resistenza".
Come si può contrastare la resistenza agli antibiotici
Sarebbero già in atto molti programmi istituzionali a cominciare dal Piano Nazionale di Contrasto dell'Antimicrobico-Resistenza (Pncar) del Ministero della Salute approvato, però, nel lontano 2017. "È una raccolta di buone intenzioni, peccato che non sia finanziato perché prevede che ciascuna struttura si procuri i fondi, il che è ridicolo", sottolinea Sanguinetti che aggiunge come serva una presa di coscienza del problema e finanziamenti. "È necessario prevedere degli obiettivi ospedalieri fissati a livello istituzionale e centrale, ma che siano misurati nei singoli ospedali". Oltre al Pncar c'è il Piano Nazionale Prevenzione 2020-2025 che prevede di rafforzare e migliorare le attività di sorveglianza delle malattie infettive prioritarie, con particolare attenzione alle Infezioni Correlate all'Assistenza.
Inoltre, alcuni ospedali come Modena sta adottando un programma chiamato di stewardship persuasivo che coinvolge tutti gli operatori sanitari educati attraverso lezioni sul rischio infettivo. "Almeno due volte a settimana gli infettivologi visitano ogni reparto per supervisionare tutta la terapia antibiotica".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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