Bersani rivede l'era dell'austerity: "Servì a fare fuori me e Berlusconi"

L'ex dem ammette: "Nel 2011 un'ubriacatura di retorica europeista"

Bersani rivede l'era dell'austerity: "Servì a fare fuori me e Berlusconi"

«Le vittime dell'austerity? Berlusconi e il sottoscritto...». Alla buvette di Montecitorio l'ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ci mette un attimo a replicare alla domanda perché la risposta l'aveva già sulla bocca. Pronta. Quel mea culpa dell'altro giorno di Jean-Claude Juncker - «l'austerity fu avventata» gli ha lasciato un sorriso amaro stampato in viso. Se poi a quella frase del presidente della Commissione Ue ci aggiungi le chiose dei vari Di Maio e Salvini, contro la politica del rigore di stampo europeo, il personaggio si morde le dita. Anche perché le parole di Bersani contengono una verità: il Cav fu il paladino, nel braccio di ferro che si innescò in Europa, dei fautori della ricetta dello sviluppo contro la politica dell'austerity, di cui furono artefici Angela Merkel e Nicolas Sarkozy; ne fece le spese e fu cacciato da Palazzo Chigi da un'operazione che ancora oggi definisce un colpo di Stato, ma riuscì ad evitare l'arrivo della politica del Fmi, che Juncker ha additato ancora ieri come responsabile dell'avvitamento greco. Bersani, contemporaneamente, costretto da Napolitano e soci, ad assecondare le indicazioni della Ue, per quella politica ha perso nel giro di qualche anno elezioni, segreteria del Pd e, addirittura, partito, visto che è stato costretto ad inventarsene un altro. Per una politica, oggi può dirlo, di cui non era per nulla convinto.

Racconta l'ex segretario del Pd: «Ricordo ancora la direzione in cui posi i dirigenti del partito di fronte all'opzione governo Monti o elezioni. Mi trovai di fronte un fuoco di sbarramento di sei interventi di esponenti di primo piano che consideravano Monti una scelta obbligata. Poi c'era Napolitano... Da quel momento, tutte le settimane, per un anno, sono stato sottoposto ad un'esame di montismo. E anche se avevo qualche dubbio sull'efficacia della politica del loden, dovevo accettare l'impostazione di chi, per far dimenticare il proprio passato comunista, pensa sempre che abbiano ragioni gli altri. La verità è che in molti si ubriacarono di retorica europeista. Trasformarono un'idea buona, l'Europa unita, in un'ideologia...».

Ormai è la storia con i suoi martiri. Ma se non parti da lì, da quei mesi, non comprendi la cronaca politica di oggi. Non capisci perché l'area moderata quasi non esiste più, mentre la sinistra di governo è ridotta ad un simulacro. Sarà un paradosso ma i grillini, i sovranisti, i Di Maio, i Salvini, sono tutti figli diretti degli sbagli di allora, degli errori di Napolitano, di Monti, dell'establishment di un intero Paese interessato alle geometrie del Palazzo e poco accorto rispetto a ciò che accadeva fuori. Basta pensare che all'insediamento del governo Monti nei sondaggi i grillini erano accreditati dell'8%, di lì ad un anno, alle politiche del 2013, arrivarono al 22%. «Ubriachi di retorica europeista», per usare le parole di Bersani, l'establishment di quel momento (dalle istituzioni politiche a quelle economiche, fino ai giornali), arrogante e presuntuoso nelle proprie convinzioni, pose il germe di quella retorica sovranista, che, per reazione, è diventata egemone oggi. Insomma, per sintetizzare tutto in una battuta, grillini e sovranisti sono figli della politica del Nap. «Tutto nasce da lì», spiega Guido Crosetto, all'epoca alla corte del Cav e oggi testa d'uovo di Giorgia Meloni: «È in quel momento che si innesca la crisi dell'area moderata e della sinistra di governo. E ora siamo governati da questa merda qui. Fu il disegno miope, di un establishment che non riusciva a vedere al di là del proprio naso. Addirittura per far fuori il Cav, per la prima volta in un Paese come il nostro, media e magistratura andarono a curiosare anche sotto la cintola dei pantaloni dei politici. Un'operazione premeditata: ricordo ancora che una mia amica, all'epoca manager della L'Oreal, sei mesi prima dell'avvento del governo del loden, nel giugno del 2011, si trovò ad una cena di ex allievi della Bocconi con un Monti nei panni del profeta: «Ora mi toccherà disse in quell'occasione - di fare il premier...».

Già, tutto nasce da lì. E ancora non è finita. «Con il giochetto del referendum propositivo prosegue Crosetto - ci stanno portando alla democrazia popolare, che spazzerà via Parlamento e Consulta. Né è una garanzia il quorum del 25% dei votanti. Immaginate il combinato disposto di un comitato promotore emanazione diretta di una maggioranza parlamentare: il comitato propone un provvedimento di iniziativa popolare, la maggioranza in Parlamento lo approva in fotocopia. E a quel punto non c'è bisogno di nessun quorum. Basta che gialli e verdi si mettano d'accordo: Di Maio fa una legge di iniziativa popolare per dimezzare gli stipendi ai parlamentari, Salvini un'altra per l'indipendenza del Nord. A questo ci hanno portato gli errori di allora!».

C'è molto sarcasmo nelle parole di Crosetto. Ma c'è da capirlo, se si pensa che i nuovi generali dello scontro con la Ue sono Salvini e Di Maio. Il bollettino di sei mesi di guerra è spietato: si è arrivati ad un armistizio, ma intanto gli assalti fatti di insulti e dichiarazioni c'è costato, via spread, un aumento degli interessi sul debito di 20 miliardi in tre anni; la legge di bilancio è stata scritta sotto la vigilanza degli euroburocrati di Bruxelles; il rapporto deficit/Pil è passato, in ossequio alle logiche del marketing, dal desiderato 2,4% al 2,04%; i provvedimenti totem su reddito di cittadinanza e pensioni quota 100 debbono essere ancora varati; infine, siamo alle soglie di una recessione con clausole di salvaguardia che prevedono una zavorra di 23 miliardi di euro per chi dovrà scrivere la legge del bilancio del prossimo anno. In un Paese serio i due generali sarebbero già stati portati davanti alla corte marziale. «Bei risultati osserva l'azzurro Stefano Mugnai per una battaglia campale, sicuramente non paragonabile alla guerra del 2011. La verità è che l'unica vera vittima della politica del rigore fu Berlusconi, lo dice la storia. Almeno lui si oppose, unico nella Ue, al partito dell'austerity: forte in Europa e con quinte colonne in Italia».

Resta da vedere cosa avverrà in futuro. Juncker nella sua ammissione di colpa ha fatto riferimento alla Grecia. Lì gli errori della Ue, del Fmi, della politica dell'austerity hanno creato Alexis Tsipras. È passato qualche anno e il movimento del pendolo è a ritroso.

«La Grecia è il parere di Valentino Valentini, storico consigliere del Cav ci anticipa. Per vedere cosa succederà da noi, stiamo attenti a ciò che avviene ad Atene. Prima la gente manifestava per Tsipras; ora la gente va in piazza contro Tsipras».

Augusto Minzolini

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