Blocco navale o ricollocamenti: il piano italiano anti migranti

Sei ipotesi di scenario: ecco i provvedimenti allo studio del governo italiano per contenere l'emergenza sbarchi

Blocco navale o ricollocamenti: il piano italiano anti migranti

L'invasione continua, al ritmo di 12mila arrivi solo nelle ultime 48 ore. A metà di quest'anno i dati sull'immigrazione sono allarmanti: il 2017 sarà l'anno record degli sbarchi, superando verosimilmente la quota di 200mila richiedenti asilo giunti in Italia.

Esistono, però, dei provvedimenti che il governo potrebbe adottare per fare fronte all'emergenza. Dai blocchi navali alla chiusura delle frontiere terrestri, ecco le ipotesi percorribili per contrastare il fenomeno.

1) L'ipotesi del blocco navale

Per fermare i migranti in partenza dal Nord Africa, in modo particolare dalla Libia, un blocco navale potrebbe essere una soluzione condivisa. Ma ciò che occorre sono accordi puntuali con il governo di Al Serraj, perché le navi italiane della Marina Militare dovrebbero poter entrare in acque libiche e supportare il lavoro delle motovedette di quel Paese. Gli uomini della Guardia costiera della Tripolitania, oltretutto, sono stati addestrati in Italia. Nessuna azione di forza, insomma, ma un'attenta operazione di repressione del traffico di esseri umani. A questo si potrebbe aggiungere un intervento, in accordo con la Libia, delle forze speciali italiane, che potrebbero contribuire in loco all'individuazione dei luoghi di detenzione dei migranti e all'arresto dei malviventi che fanno parte delle organizzazioni criminali che operano le partenze.

2) Gli accordi con la Libia

Senza accordi puntuali con il governo libico non si andrà da nessuna parte. Già il governo Berlusconi, all'epoca in cui a comandare in Libia era ancora Gheddafi, aveva operato in questo senso. Servirebbe una maggiore incisività dell'attuale esecutivo. Anche il ministro dell'Interno Marco Minniti, con il memorandum of understanding già aveva previsto di rafforzare queste intese. Si dovrebbe lavorare proprio per fissare i punti cardine della lotta all'immigrazione clandestina. Fermarli su carta e iniziare a lavorare concretamente. Quali sarebbero i vantaggi per i due Paesi? Per l'Italia una sensibile diminuzione degli arrivi, per la Libia la garanzia di avere un supporto vero da parte di una Nazione amica, che ha da sempre operato per aiutare il governo di Tripoli. Insomma, un do ut des utile su entrambi i versanti.

3) Campi nei Paesi di partenza

Ne ha parlato più volte il ministro Minniti. Creare campi di accoglienza in Libia e altri Paesi in cui si possa contare su una sostanziale stabilità. Servono strutture in cui possano operare volontari delle organizzazioni non governative o di altri soggetti preparati, e in cui ospitare chi vorrebbe tentare la traversata. È qui che dovrebbe avvenire lo smistamento, in modo da individuare i veri profughi, che per ragioni umanitarie potrebbero poi essere trasportati in altri Paesi per l'accoglienza e chi, invece, non ha diritto a partire. Qualche anno fa fu stilato anche un piano per mettere queste persone nelle strutture di Djerba, in Tunisia, svuotate in seguito agli attentati dell'Isis, ma il progetto non fu preso in considerazione. Anche in questo caso, per attuare l'idea, fondamentali gli accordi con i Paesi in cui i campi potrebbero essere realizzati.

4) Le frontiere di terra chiuse

Passa anche per la chiusura delle frontiere di terra la lotta all'immigrazione clandestina. L'attenzione è puntata, in modo particolare, sui confini a sud della Libia, dove i miliziani del Daesh spesso hanno campo libero e schierano i loro uomini in supporto alla criminalità organizzata per far confluire verso Tripoli più migranti possibile. Sono necessari un blocco e un controllo puntuale di questi territori. L'Italia potrebbe mandare i suoi militari in supporto a quelli libici proprio per attuare questi piani. Ma c'è anche un altro versante, quello delle frontiere a Nord dell'Italia. Una tra tutte è quella di Ventimiglia da dove, nonostante il lavoro della Polizia italiana, spesso c'è chi riesce a introdursi illegalmente nel nostro Paese. Servono più uomini, perché spesso la polizia di frontiera è al collasso e non riesce a controllare tutti gli accessi.

5) Militari sulle navi delle Ong

Ormai è cosa nota che le Ong entrino in acque territoriali libiche per salvare i migranti che arrivano sui gommoni. Si sono ipotizzate connivenze con i trafficanti di uomini o, almeno, si è notata la scarsa collaborazione con le istituzioni. Qualcuno ha anche il dubbio che possa esserci un disegno specifico dietro all'operato di queste organizzazioni. Ecco perché si ragiona su due fronti: da una parte si studia di mettere a bordo di ogni nave dei soccorsi un gruppo di militari che possa controllare che la regolarità delle operazioni. Dall'altra si pensa, addirittura, di bloccare le navi, impedendo loro di partire. Perché il confine tra il diritto al soccorso e il business occulto del trasporto di esseri umani si fa sempre più sottile. La domanda è: da dove arrivano i finanziamenti che consentono loro di mettere in piedi costosissime operazioni di recupero?

6) Intese sui ricollocamenti

È cosa nota che l'Italia sia il corridoio d'ingresso per i migranti verso il resto d'Europa. Alla fine, però, molti scelgono di rimanere nel nostro Paese, che in nome dell'accoglienza li ospita fornendo loro vitto e alloggio, quando la cosa crea non pochi malumori perché ci sono ancora centinaia di terremotati del Centro Italia senza casa. Ecco perché, per alleggerire la nostra nazione da un'emergenza che sta diventando insostenibile, sarebbero necessari accordi seri con gli altri Paesi Ue, che potrebbero accogliere i migranti.

Le navi, anche estere, che operano nel Mediterraneo, potrebbero portare queste persone, in percentuale da stabilire, anche su altri territori europei. È da chiedersi quale nazione voglia accollarsi un tale peso. Visto che, per adesso, a tutti ha fatto comodo che l'Italia fosse invasa.

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