Vincenzo Spadafora, ministro con delega per lo Sport, è come un neo-patentato alla guida di una formula uno. Bisogna aspettarsi di tutto. Per esempio che, senza alcuna perizia, travolto dall'ebrezza della velocità, vada fuori strada alla prima curva. È successo esattamente questo al nostro. Alle prese con la gravissima crisi del coronavirus, si è dovuto misurare con argomenti, regolamenti, cifre e portata economica del settore mai frequentati in precedenza. Così, senza disporre nemmeno di un suggeritore informato, nel bel mezzo della tempesta ha infilato una sequenza di gaffe da far impallidire il suo collega di partito Vito Crimi che è un noto primatista. Ha debuttato alla grande reclamando a viva voce, per la partita Juventus-Inter da giocare a porte chiuse, la diretta tv in chiaro ignorando che i diritti della serie A sono impacchettati dalla legge Melandri che ne consente la trasmissione solo alle tv a pagamento. Non ha fatto una piega e si è rimesso subito al volante. Nei giorni successivi, appena il dibattito tra i due schieramenti in campo (riprendere a giocare, no fermiamoci subito) è diventato più acceso, ha licenziato un pronostico azzardato («sarà la maggioranza dei presidenti di serie A a chiedermi di proclamare lo stop») smentito a stretto giro di votazione unanime dalla Lega interessata. Domenica sera ha proprio perso la trebisonda e, sull'orlo di una crisi di nervi, forse per la decisione della collega ministro Lamorgese di aprire gli allenamenti individuali anche ai calciatori, ha firmato un post dai toni degni di un padrone delle ferriere. Ha dapprima tuonato («di riprendere il campionato non se ne parla proprio») e poi minacciato di tornare a occuparsi «di tutti gli altri sport e dei centri sportivi (palestre, centri danza, piscine) che devono riaprire al più presto». A metterlo in riga han provveduto esponenti politici alleati (da Matteo Renzi a Bonaccini) e dell'opposizione (Bernini di Forza Italia) spiegandogli che nella circostanza si è dimostrato a digiuno oltre che di sport, già di per sé molto grave, anche di democrazia. Restano misteriosi i motivi del sordo rancore nei confronti del calcio che rappresenta la quinta industria nazionale, muove un fatturato di 5 miliardi con una contribuzione fiscale di oltre 1 miliardo e garantisce posti di lavoro per 121mila addetti. Probabilmente da ragazzo, Vincenzo Spadafora ha vissuto un'esperienza traumatica col pallone: è capitato a tanti, compreso il sottoscritto, d'essere stato respinto dalla compagnia degli amici di quartiere per la conclamata incapacità a destreggiarsi con un pallone tra i piedi.
Di sicuro è inaccettabile che il ministro per lo Sport possa diventare il ministro contro il calcio. Se Spadafora tiene così tanto alle altre discipline sportive citate nel famoso post, potremmo nominarlo, seduta stante, e ad honorem, ministro per la danza. Classica o moderna decida lui.
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