La classifica beffa degli atenei: salari alti ma non per merito

I baroni italiani sono i più pagati d’Europa e i secondi al mondo. Ma nelle graduatorie delle migliori università le nostre scompaiono

La classifica beffa degli atenei: salari alti ma non per merito

L’insegnamento, si sa, è un’esperienza arricchente,cultu­ralmente e umanamente. A certe latitudini più che ad altre e non so­lo dal punto di vista culturale. I no­stri professori universitari lo san­no bene: loro possono godere di parecchie gratificazioni, soprat­tutto dal punto di vista economi­co, tanto da meritarsi il primo po­st­o nella classifica di docenti mag­giormente retribuiti dell’Unione europea.

Il felice –per loro –primato è cer­tificato da un’inchiesta del quoti­diano svizzero Neue Zürcher Zei­tung condotta con meticolosità in 28 paesi con risultati che in parte confermano quanto già emerso in passato sugli atenei del bengo­di: con 13.677 euro mensili lordi al mese sono proprio i nostri docen­ti i più pagati dell’Unione euro­pea, seguiti dai britannici, che in­cassano 12.554 euro e dagli olan­desi che guadagnano 10.685 euro.

Distanti dagli standard remunera­tivi italiani, si piazzano poi i tede­schi con 9.575 euro e i francesi.

Secondo l’inchiesta della Neue Zürcher Zeitung l’Italia non con­quisterebbe medaglie nella classi­fica mondiale, ma i docenti del bel paese hanno comunque di che es­ser contenti: fuori dal podio solo per un soffio, si collocano al quar­to posto dopo Svizzera, Canada e Sud Africa. Insomma le pubblica­zio­ni relative agli stipendi dei pro­fessori universitari confermano il primato italiano e la reazione del­la categoria è sempre la stessa: «Noi i più ricchi? Non lo sapeva­mo ». Il fatto è che i docenti devo­no essere rimasti i soli a non esser­ne al corrente, perché il primato trova parecchie altre conferme. Anche se non trova altrettanti ri­scontri sul fronte dell’eccellenza: nelle graduatorie sugli atenei mi­gliori infatti l’Italia si vede col bino­colo. E dire che sul fronte econo­mico, appunto, i prof italiani non dovrebbero avere da lamentarsi. Anzi secondo un altro studio, con­dotto da Philip Altbach e quattro colleghi del Center for internatio­nal higher education ( autori del li­bro Paying the professoriate ), i do­ce­nti italiani finirebbero addirittu­ra sul podio mondiale: al secondo posto dopo il Canada nella classifi­ca dello «stipendio lordo medio» parametrato al costo della vita, mentre sarebbero terzi nel «top le­vel ». I docenti italiani scendono, invece, nella paga d’ingresso: si trovano al decimo posto insieme a Olanda e Argentina a conferma­re che anzi­anità e baronaggio van­no spesso a braccetto. Gli stipendi più bassi sono invece quelli presi dai professori cinesi con 259 dolla­ri al mese, dai colleghi armeni (405 dollari) e gli etiopi (864 dolla­ri). Lo studio permette anche di scoprire aspetti curiosi del lavoro universitario: ad esempio che in Messico per evitare la fuga dei do­centi verso gli Usa, è stato stabilito di dare un bonus in denaro per il primo matrimonio oltre a sidro e tacchini per Natale. E che i docen­ti nei paesi anglosassoni vengono pagati per l’effettiva durata del la­voro, per cui se lavorano 9 mesi perché in estate l’università è chiu­sa, vengono pagati per 9 mesi.

Certo, lo stipendio preso in con­sid­erazione da alcune di queste ri­cerche che periodicamente fan­no discutere e accapigliare è speci­ficato al lordo, e le tasse possono influire in modo diverso sul gua­dagno netto da paese a paese, ma il dato fa comunque riflettere, so­pratt­utto perché al primato italia­no della remunerazione non corri­sponde nessun particolare ricono­scimento sul piano della qualità. Per trovare l’Italia nella QS World University Rankings 2011/2012, la classifica delle migliori universi­tà del mondo stilata ogni anno bi­sogna leggere fino alla 183 riga: è l'università di Bologna il primo ateneo del bel paese che si trova in classifica, seguita dalla Sapienza al posto numero 210.

Ai primi po­sti non compare nessun nome ita­liano: sono la Harvard University, il Massachusetts Institute of Tech­nology (Mit), la Yale University e l’University of Oxford a svettare. Chissà se i professori italiani san­no almeno questo.

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