I punti chiave
"Claudio non ce lo ridarà nessuno, ma speriamo che quanto stiamo facendo serva almeno a evitare altre tragedie simili. Nostro figlio non ha preso la decisione di togliersi la vita". Ha il cuore a pezzi Elisabetta Benesatto, la mamma di Claudio Mandia, lo studente 17enne originario di Battipaglia (Salerno), che si tolse la vita in una boarding school privata (un collegio, ndr) di Thornwood, alle porte di New York, lo scorso 17 febbraio. "Claudio è morto perché non ha resistito ai crudeli maltrattamenti e agli atroci abusi che ha subito da parte della scuola - racconta in un'intervista al Corriere della Sera -. Quell'istituto al quale lo avevamo affidato e che si era impegnato a prendersi cura del suo sviluppo e del suo benessere". I genitori del ragazzo hanno denunciato l'Academy presso la sezione civile della Corte Suprema di New York.
La tragedia
Claudio era destinato a diventare l'amministratore dell'azienda di famiglia, la Fiad, che produce soprattutto pizze surgelate. Per questo motivo i genitori avevano deciso di far studiare il ragazzo alla EF Academy di Thorwood, una scuola privata negli Stati Uniti. "Amiamo questo Paese, ne conosciamo bene la lingua e anche le regole severe, diverse dalle nostre - spiega Elisabetta -. Questo istituto sembrava degno di fiducia: educatori capaci ed empatici, consapevoli della fragilità di ragazzi minorenni". Poi, però, i Mandia sono stati travolti da una tragedia inimmaginabile. All'inzio di febbraio, Claudio era stato espulso dall'istituto per aver copiato un compito di matematica. Il giorno 14 è stato trasferito in un edificio isolato e il 17 si è impiccato. "Hanno trattato nostro figlio con estrema crudeltà", denuncia la mamma del ragazzo.
L'espulsione
Nelle scuole pubbliche di New York, il confinement (una misura di isolamento punitivo) è ammesso solo in casi molto gravi e, come ben spiega l'avvocato George Bochetto, il legale dei Mandia, sotto stretto controllo del personale se dura più di due ore. "Non solo - precisa Mauro Mandia, il papà di Claudio -. La EF Academy non ha mai parlato di questi provvedimenti punitivi. Ma quando da lunedì 14 febbraio abbiamo saputo della decisione di espellerlo e di trasferirlo in un edificio isolato in attesa del nostro arrivo e ho cominciato a tempestare la scuola di chiamate mi sono sempre sentito rispondere che Claudio non era in isolamento". Claudio, riprende Elisabetta: "Non è stato l'unico a subire trattamenti così primitivi. Quanti altri prima di noi hanno vissuto esperienze simili senza avere gli strumenti per reagire, indagare. Noi abbiamo potuto farlo e andremo fino in fondo perché nessun altro studente debba subire azioni così disumane, orribili e ingiuste".
La stanza isolata
L'indagine privata che i Mandia stanno conducendo Oltroceano ha appurato che all'interno dell'istituto c'era una sala attrezzata contro i rischi di suicidio. Quella in cui era stato confinato Claudio, invece, pare fosse dotata di letti con barre in metallo e altri appigli. "La scuola - scrive l'inviato del Corriere - dice che lui non era tecnicamente detenuto". "Dicevano che poteva aprire la porta, ma non era autorizzato a uscire e se lo faceva la porta si richiudeva e non poteva essere riaperta - racconta Elisabetta -. La poteva aprire solo per prendere i pasti che gli lasciavano a terra: peggio di un detenuto. L'ultimo giorno, poi, non gli portarono né la colazione né il pranzo". Con un comunicato anonimo, l'Academy ha spiegato che ci sono state "alcune inesattezze nella documentazione legale circolata". E nello specifico: "La stanza dello studente non era chiusa a chiave: non era in isolamento e poteva avere interazioni sociali accesso alle risorse della scuola".
Il suicidio
Durante il periodo di confinamento, Claudio comunicava coi genitori via WhatsApp. "Cercava di tranquillizzarci - ricordano Mauro ed Elisabetta - ma ai compagni rivelava il suo vero stato d'animo. Chiedeva aiuto alla psicologa, era chiaramente sotto estremo stress. Quando mercoledì, la sera prima del suicidio, i compagni sono stati autorizzati ad andare a salutarlo, visto che doveva partire il giorno dopo, tutti videro segni di legamenti intorno al collo, tracce di ferite. Erano presenti anche due membri dello staff scolastico. Claudio provò a minimizzare dicendo che era caduto in doccia". Pare che prima di togliersi la vita Claudio avesse inviato un messaggio a un amico: "Ho paura di quello che sto per fare", sarebbero state le sue parole.
Il dolore dei genitori
I genitori sono stati informati della tragedia quando sono atterrati all'aeroporto di New York. "Ritirati i bagagli due agenti in borghese chiesero a me ed Elisabetta si seguirli in una sala riservata - continua il papà del ragazzo -. Pensavamo a un normale controllo. Dentro c'erano i detective della polizia di Mount Pleasant e tre persone della scuola tra cui un insegnante italiano che già conoscevo. Mi disse di botto che Claudio era morto. Io caddi a terra. Elisabetta, dopo i primi momenti di disperazione, chiese di nostra figlia Martina, allieva della stessa scuola. La tenevano ignara e isolata. Ci chiesero cosa fare. Dovevamo dirglielo noi. Andammo alla EF Academy". Nessuno li avrebbe accolti: "Anzi, non ci fecero nemmeno entrare: ci consegnarono Martina (l'altra figlia ndr) tremante in camicetta con una temperatura sotto zero. Dovemmo chiedere che andassero a prenderle il cappotto. Ci dissero che la nostra presenza avrebbe turbato gli altri studenti".
"Non abbiamo più visto nessuno - concludono Mauro ed Elisabetta -. Il giorno dopo dovevamo andare a ritirare gli effetti personali di Claudio. Per evitarlo mandarono l'infermiera della Academy a portarci le sue cose all'obitorio".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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