Coronavirus, poche mascherine. Ma c'è una speranza: ecco il manuale per riusarle

Lo Stabilimento chimico farmaceutico militare ha messo a punto delle istruzioni per la sanitizzazione. Ma è un documento "a uso interno" e si attendono le prove tecniche

Coronavirus, poche mascherine. Ma c'è una speranza: ecco il manuale per riusarle

Per ora si tratta di un semplice "documento di lavoro", ancora da valutare. Ma potrebbe avere un notevole impatto qualora l'emergenza coronavirus dovesse proseguire e reperire mascherine protettive diventare sempre più difficile. A metterlo a punto è stato lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, uno dei centri dell'Agenzie Industrie della Difesa: si tratta di una procedura per la "sanitizzazione delle mascherine" monouso. Quelle che da giorni la Lombardia (ma non solo) cerca disperatamente di acquistare. E che invece - in alcuni casi - potrebbero essere riutilizzate.

Il capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, ha stimato in 90milioni di pezzi al mese il fabbisogno italiano in tempi di Covid-19. Il problema è che attualmente sono stati stipulati contratti di fornitura per appena 55 milioni di pezzi e reperirle sul mercato è sempre più difficile. Non solo per i costi esorbitanti, ma anche perché il blocco delle frontiere rende complessa la movimentazione delle merci: 19 milioni di pezzi sono attualmente bloccati oltre confine e, nonostante le raccomandiazioni dell'Ue, alcuni Stati stanno impedendo l'esportazione per paura che presto tocchi a loro trovarsi nell'emergenza. Il bene è diventato introvabile. Alla Lombardia, frontiera della lotta al virus, la Protezione Civile ha inviato 250mila mascherine inidonee ("un foglio di carta igienica", per dirla con le parole di Giulio Gallera, assessore alla Sanità), costringendo la Regione a recuperarne 700mila in altro modo. Sembrano tante, ma non lo sono: basteranno per appena due giorni.

Una possibile soluzione potrebbe arrivare proprio dai chimici dell'Esercito. Il documento di tre pagine indica le "istruzioni d’uso" per sanitizzare le mascherine e poterle così riciclare. Una manovra, va precisato, valida "solo ed esclusivamente nei casi in cui sia valutato applicabile il riutilizzo dei dispositivi di protezioni individuale a seguito di carenza causata dall'emergenza sanitaria da coronavirus". Per "disinfettare" le mascherine occorre dotarsi di una "soluzione idroalcolica al 70% in erogatore in erogatore spray ecologico o altro dispenser". Poi bisogna seguire una dettagliata serie di passaggi, ricordandosi "che sia la superficie esterna" della maschera che le mani "possono essere contaminate dal virus". È quindi necessario attenersi "scrupolosamente all'ordine delle operazioni descritte". Un volta concluso il processo (fatto di sei fasi), sarà importante riporre la mascherina in una busta di plastica, non toccare mai la parte interna (per evitarne la contaminazione) e non tentare la sanitizzazione per più di tre volte.

La veridicità del documento è stata confermata dallo stesso Stabilimento, che ha emesso un comunicato per informare che si tratta di "una procedura ad uso interno, non ancora approvata". Dunque da non mettere in pratica a casa. Lo scopo, in caso di "impossibilità di reperirne un numero sufficiente di mascherine di ricambio", è quello di "tentare di bonificare" quelle "già usate in contesti non a rischio" o quando si ha la "certezza di non essere entrati in contatto con persone contagiate". Al momento si attende "l'avvio di prove tecniche specifiche per valutare l'applicabilità" delle procedure e gli eventuali limiti "nei casi di emergenza come quello attuale". Ma di certo non riguarderà le mascherine "utilizzate dal personale sanitario" o in ambienti ad alta probabilità di contagio, perché "non vi sono al momento dati sufficienti per poterne convalidare l'efficacia" e non esiste una "evidenza sperimentale che ne convalidi il reimpiego in tal senso". I rischi sarebbero troppo alti.

Evitare di "sprecare" mascherine indossate in situazioni non pericolose, però, permetterebbe di concentrare le poche a disposizione negli ospedali, garantendo a medici, infermieri e soccorritori di non trovarsi mai a dover lavorare con dispositivi di protezione già usati. O fatti "di carta igienica".

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